Monologo per attrice solista, La castellana completa insieme a Kitty, L’arpista, D’improvviso, La supplente, Arsa, La ribelle, Intervista ai parenti delle vittime e La schiava, la raccolta degli assoli al femminile scritta da Giuseppe Manfridi nell’arco di oltre venti anni.
La rappresentazione si ispira alla vita scellerata della nobildonna ungherese Eszrébet Bàthory (soprannominata la Contessa Dracula e vissuta in Ungheria a cavallo tra 1500 e 1600), rievocando i momenti dello smascheramento dei suoi turpi misfatti, quando gli armigeri dell’Imperatore fanno irruzione nel castello per ispezionarlo e arrestarla, insieme a tutti i complici degli efferati delitti.
Prima serial killer femminile della storia del crimine, la donna è ossessionata dalla bellezza e, nella sua folle immaginazione, è convinta che il sangue di giovani vergini preservi il candore della sua pelle mantenendola giovane e incorruttibile. In oltre dieci anni, per immergersi settimanalmente in un elisir di giovinezza, ha sacrificato oltre 600 fanciulle, adescate col miraggio di un pasto caldo e un lavoro. Se ciò si può definire malvagità, sostiene, è una malvagità benefattrice poiché le misere pulzelle, il cui plasma ha alimentato l’opalescenza madreperlacea della sua pelle, sono state sottratte a un destino indecente di perdizione, e obbedito a una legge di natura che preserva il meglio di sé.
Abbigliata con un candido abito bianco, la dama ammette i suoi crimini, rivolgendosi al simulacro del suo nano Janos, priva della contrizione di chi si senta schiacciata dal peso dei reiterati delitti. È indomita, fiera del privilegio riservatole dal destino e dal demonio, messo in atto con la protezione succube di reverendi e cardinali membri della sua potente famiglia di principi e ministri. Con piglio sdegnoso rivolge espressioni sprezzanti all’immobile paggio Janos, mentre affronta “col decoro e la dignità” consoni al suo rango la triste circostanza dell’arresto, di cui il capitano si dovrebbe vergognare poiché impedisce così a una dama di continuare a coltivare la sua bellezza.
Diafana, bella, altera, coi capelli corvini che accentuano il candore dell’incarnato e il corpo sontuoso che sboccia dall’abito niveo, Giulia Morgani incarna il folle narcisismo della sanguinaria contessa con aristocratico compiacimento e guizzi luciferini negli occhi, trangugiando gocce di sangue vermiglio da un’ampolla, ormai l’ultima, che dovrà servire anche per il maquillage finale (chirurgia estetica ante litteram), poiché senza la sua bellezza lei non esisterebbe.
Scalpitio e urla: i gendarmi hanno scoperto le camere delle torture nelle segrete e conducono le serve al rogo come streghe. La contessa sa che a lei sarà riservata la sorte orrenda di essere murata viva, una morte lenta che offende la dignità. Il suo corpo che è stato oggetto di culto, come quello della vergine meretrice che si mostrava senza concedersi ed era adorata come una dea, subirà l’affronto della profanazione. Lancia il suo anatema verso Dio che non conosce l’amore al quale lei ha dedicato tutta la vita: l’amore di sé, per il trionfo del quale il delitto è un diritto, ed essere maligna è il suo modo di essere sola.
La scrittura dotta e quasi sottilmente compiacente di Manfridi, tratteggia un noir in cui la protagonista difende un destino e declama un testamento. Il costrutto lessicale e sintattico del drammaturgo evoca icasticamente l’universo emotivo e le dinamiche psicologiche della donna, cui lo spettatore finisce quasi per aderire, dopo l’iniziale ripugnanza. Tale è la potenza attrattiva della parola colta e raffinata e che, ancora una volta, testimonia la vocazione creativa di Manfridi, capace di trasferire l’orrida storia di una criminale seriale in un diverso piano di realtà, in cui la tensione del racconto coinvolge e fa trepidare per la sua sorte.
Claudio Boccaccini, regista legato da molti anni alla drammaturgia di Manfridi al punto da costituire insieme quasi una Compagnia, come ironizzano fraternamente, amplifica la potenza del testo con la carica affabulatoria della cadenza napoletana, condita di qualche espressione gergale dialettale. Questa rivisitazione espressiva allontana dalla suggestione della vampira transilvana e rafforza il movente della follia sterminatrice. Giulia Morgani è aderente al personaggio e lo caratterizza, assecondando un regista dalla prorompente personalità.
La raccolta è pubblicata da La Mongolfiera Editrice.
Tania Turnaturi