“Coniugare la tradizione con il nuovo che avanza, con il mondo digitale, con l’apporto delle nuove tecnologie”. Così Emmanuele F.M. Emanuele, presidente della Fondazione Terzo Pilastro – Internazionale, presenta la mostra “Ipotesi Metaverso”, in corso a Roma presso l’ottocentesco Palazzo Cipolla (in via del Corso 320) fino al 23 luglio. “Nuove tecnologie – prosegue il promotore dell’esposizione – che costituiscono una rivoluzione anche nel modo di manifestare il sentimento che è alla base della creazione dell’opera d’arte”.
“Ipotesi Metaverso”, curata da Gabriele Simongini e Serena Tabacchi e realizzata da Poema, raccoglie le opere di 32 artisti storici e contemporanei, connettendo musica e arte digitale, pittura e visori di realtà virtuale, poesia e intelligenza artificiale. “Quadri e sculture di artisti che hanno creato ‘mondi’ alternativi – spiegano i due curatori – coesistono con opere immersive, per proporre al visitatore, spesso chiamato in causa come ‘attore’ della mostra, un rapporto equilibrato, anche se talvolta spiazzante, fra fisico e digitale”.
Grandi artisti del passato, dunque, incontrano i contemporanei, realizzando un percorso multimediale e multisensoriale incentrato sulla contemplazione e l’immersione, la visionarietà e la creazione di nuove dimensioni spaziali ed esistenziali. “Un apparente contrasto – prosegue Emanuele – che stimolerà in maniera assoluta il visitatore, consentendo la possibilità concreta della percezione del mondo reale attraverso la tecnologia”.
Ma cos’è il “metaverso”? La parola, si legge in un grande pannello all’inizio della mostra, è apparsa per la prima volta nel romanzo di fantascienza post-cyberpunk “Snow crash” del 1992 di Neal Stephenson. Il metaverso (neologismo che unisce le parole “meta” e “universo”) possiamo grossolanamente definirlo come l’evoluzione di internet e dei videogiochi (come Fortnite o Roblox): un mondo digitale, incentrato su realtà virtuale e realtà aumentata, in cui si accede mediante visori 3d.
E i visori sono lo strumento centrale di ben due opere. La prima è “Regenesis” della canadese-coreana Krista Kim, dove viene mostrata la possibilità della realtà aumentata nell’abbellimento degli spazi urbani. L’obiettivo è portare i principi del design e della filosofia zen in un progetto di edilizia popolare a Mott Haven, una zona degradata del South Bronx newyorkese: con il visore (e i controller per volare) possiamo esplorare gli edifici futuristici del quartiere, finalmente trasformati in opere d’arte digitali, sulla scia di quanto realizzato dall’artista nel febbraio 2022 a Times Square con “Midnight moment”. Molto stimolante è l’accostamento dell’opera con “Maamor III”, dipinto del 1969 dell’ungherese Victor Vasarely: “I suoi spazi illusionistici – spiega la studiosa tedesca Magdalena Holzhey – che rinunciano a una tridimensionalità reale, sembrano anticipare gli spazi virtuali dell’era del computer”.
La seconda è “The bacchanalian ones” dell’artista visivo Federico Solmi, dove con un visore e due controller per le mani è possibile entrare in una festa grottesca e coloratissima. Un mondo clownesco di animazione digitale, motion capture e realtà virtuale (combinato con il disegno e la pittura tradizionali), ispirato dalla mitologia antica e dalla cultura contemporanea delle celebrità, che satura il campo visivo dello spettatore e lo invita a ricreare narrazioni e nuovi punti d’osservazione.
Il percorso della mostra, si diceva, è articolato su un corto circuito continuo tra fisico e digitale (il cosiddetto “phygital”), tra materiale e immateriale. “Uno dei concetti fondamentali della mostra – aggiunge il curatore Simongini – è farci prendere coscienza che viviamo in un mondo che sta perdendo la memoria. ‘Ipotesi Metaverso’ ci dice che anche quando siamo proiettati verso il futuro, un futuro sempre più accelerato e veloce, noi non dobbiamo perdere le nostre radici”.
Questo andirivieni tra passato e presente unisce l’intera esposizione. È evidente nel primo blocco di opere, tutte legate all’architettura “illusionistica e utopistica”: vi troviamo la pittura barocca del secentesco Andrea Pozzo accanto al “Planetoide tetraedrico” dell’olandese Maurits Cornelis Escher e alla “pittura ermeneutica” di Pier Augusto Breccia; le prospettive vertiginose delle “Carceri” del genio settecentesco Giovanni Battista Piranesi accanto alla versione breve del film 3d “Carceri d’invenzione” del francese Grégoire Dupond (con musiche di Teho Teardo).
Fino alla straordinaria installazione “Aiora: Floating Tales” del pittore Fabio Giampietro e il new media artist Paolo Di Giacomo: un’altalena posta di fronte a un enorme schermo, che con il suo dondolio (attraverso sensori) genera una serie di immagini realizzate in grafica 3d. “Un portale verso un’opera digitale”, così l’ha definita Di Giacomo in una recente intervista: “Volevo che lo spettatore entrasse attraverso questo varco, che è anche molto simile a quelli dell’iperspazio degli anni Ottanta: regala una prospettiva centrale in cui fiondarsi”.
Il dialogo tra fisico e digitale prosegue sul tema della “figura” con i corpi aerodinamici (o “cyborg ante litteram”) di Umberto Boccioni, le donne futuriste di De Pistoris, le installazioni multimediali colorate e grottesche di Federico Solmi. Tema plasticamente riassunto nel flusso ininterrotto di ritratti digitali “Memories of Passersby I”, opera pionieristica di intelligenza artificiale del 2018 del tedesco Mario Klingemann.
Impossibile dare estesamente conto di tutte le opere. Alla rinfusa, in conclusione citiamo la suggestiva moltiplicazione sensoriale del musicista-artista Alex Braga, la “poesia generativa” di Sasha Stiles (30 blocchi di testo multimediali realizzati con l’intelligenza artificiale come co-autrice), gli scenari metropolitani del futurista Fortunato Depero e del video-artista australiano Joe Pease, gli spazi mentali di Giorgio De Chirico e Giulio Paolini, la fotocamera post-umana del bosniaco-tedesco Damjanski, l’esperienza d’arte spaziale in 3d di Joshua Chaplin, la “tecnonatura” dell’artista e designer turco-americano Refik Anadol.
Marco Togna