LE ALLEGRE COMARI DI WINDSOR, DIRETTE DA ANDREA CHIODI, DEBUTTANO A VERONA E PADOVA
Nello spettacolo, prodotto dal TSV-Teatro Nazionale, l’iconica Eva Robin’s nel ruolo di Miss Quickly
L’amore contrastato dei giovani, gli equivoci, i travestimenti, le beffe. E le donne, libere di pensare a agire. Debutta, in prima nazionale, al Teatro Romano di Verona, Le allegre comari di Windsor diretto da Andrea Chiodi. L’opera e i personaggi di William Shakespeare vengono evocati in un country club dal sapore inglese, fatto di tartan e kilt, in un vivace gioco di farse, danze e violenze. Giovedì 13 e venerdì 14 luglio, alle ore 21.15, tra le mura scaligere torna una delle commedie più amate e rappresentate del Bardo.
Lo spettacolo, prodotto da Teatro Stabile del Veneto – Teatro Nazionale, debutta all’Estate Teatrale Veronese, Festival organizzato dal Comune di Verona in collaborazione con Arteven e il sostegno di Ministero della Cultura e Regione Veneto. Un esordio che proseguirà a Padova. Dal 17 al 29 luglio, Le allegre comari di Windsor debutterà sul palco del Teatro Verdi nell’ambito della rassegna estiva “Aperitivo con Shakespeare”.
Nell’adattamento curato da Angela Demattè, che gioca sulla fedeltà del linguaggio, Andrea Chiodi conferma il suo talento registico, creando un mondo immaginario abitato da un cast d’eccezione. L’iconica Eva Robin’s vestirà i panni di Miss Quickly, sempre pronta a tessere quel filo che unisce tutti gli inganni. Assieme a lei, sul palcoscenico, Angelo Di Genio, Francesca Porrini, Nicola Ciaffoni, Davide Falbo, Riccardo Gamba, Sofia Pauly, Ottavia Sanfilippo e Pierdomenico Simone. Ad arricchire la produzione le scene di Guido Buganza, i costumi di Ilaria Ariemme e la cura dei movimenti di scena di Marta Ciappina, oltre alle musiche di Daniele D’angelo.
Dietro l’insistenza della divertita regina Elisabetta I, conquistata dal personaggio di Falstaff, tra il 1599 e il 1601, Shakespeare scrive in quattordici giorni Le allegre comari di Windsor. Al centro della narrazione le burle di due signore che, ricevendo attenzioni e lettere d’amore proprio da quell’uomo buffo e squattrinato, ricambiano facendosi beffa del malcapitato.
Note di regia di Andrea Chiodi
«Honi soit qui mal y pense!» (Sia vituperato chi ne pensa male), questo si legge sullo stemma dell’ordine della giarrettiera, e dal nome dell’ordine prende anche il nome la locanda presente nel testo, e alcune altre allusioni all’Ordine della Giarrettiera, contenute nel testo, queste indicherebbero come probabile data per la prima rappresentazione l’aprile del 1597, giusto un mese prima dell’installazione del consiglio dei Cavalieri dell’ordine a Windsor, e quindi ecco perché l’opera si svolge proprio lì. «Sia vituperato chi pensa male» slogan presente sulle coccarde dell’ordine della giarrettiera ancora oggi, è per me uno spunto interessante, proprio il ridere delle disgrazie altrui è comportamento estremamente borghese, laddove il fallimento di qualcuno è il successo di un altro. Ecco che Allegre comari ci descrive una società nuova, senza valori alti e cavallereschi, una provincia a tratti violenta, un mondo borghese e arricchito, un mondo simile a Il capitale umano di Virzì se dovessimo paragonarlo ad un racconto contemporaneo. Ho voluto portare, come spesso ho fatto con le commedie di Shakespeare, tutti i personaggi in un mondo evocativo, in una sorta di country club immaginario dal sapore molto inglese fatto di tessuto tartan e kilt. Guido Buganza alla scene per evocare questo mondo, Ilaria Ariemme ai costumi per restituirci un sapore inglese, Marta Ciappina ai movimenti di scena per aiutarmi nella costruzione di un vivace gioco fatto di farse, danze e violenze, tutto puntellato dalle musiche a contrasto di Daniele D’Angelo e nella traduzione e riduzione che giocherà sulla fedeltà del linguaggio di Angela Demattè.
Note di drammaturgia di Angela Dematté
La scrittura dell’opera The Merry Wives of Windsor, narra la tradizione, nasce dal desiderio della regina Elisabettta, innamorata del personaggio di Falstaff nell’Enrico IV. Ciò che colpisce la regina nelle scorrerie di Falstaff è il suo essere irresistibile specchio deformato della Corte reale. Shakespeare non può che esaudire la regina e le scrive questa commedia dove colloca Falstaff nel paese di Windsor. Lì nessuno si occupa più del governo ma ci si occupa di denaro e delle piccole cose ad esso collegate. Tutto è piccolo, minuto, da storiella. Non siamo nell’immaginario dei Grimm ma piuttosto in quello di Calvino, delle campagne emiliane. L’immagine principale della pièce, la beffa dell’uomo nella cesta, è da fiaba italiana popolare. Il regno con i suoi personaggi potenti è lontanissimo. In questa piccola provincia Falstaff può far finta di essere cavaliere, ma sa che non ha più ruolo, non ha più potere. Ci fa pensare ad un imprenditore degli anni ’90 a cui gli affari siano andati male ma che non possa far a meno di soddisfare i suoi lussi e il suo narcisismo. Perché così è stato cresciuto. Il mondo attorno non è molto meglio. La boria di Falstaff è l’unico elemento, forse, da cui gli altri possano attingere vita. La comunità, infatti, si vitalizza e riunisce intorno alla beffa inferta a lui. Lo si veste addirittura da animale con le corna, nel caso non fosse chiaro che Falstaff è un patetico capro espiatorio perché la comunità si riunisca e perché una ragazza possa seguire il suo desiderio d’amore. Si sente una strana anticipazione – mi si perdoni il paragone – di quelle commedie consolatorie degli anni ’50 che tendevano a rincuorare il popolo perché fosse contento di stare tra la gente semplice e perché rinnovasse, seppure per il tempo di una risata, il buon ottimismo. Ma è chiaro che Shakespeare, come sempre, ci suggerisce dell’altro: serve una vittima, travestita da grasso potente borioso, perché un paese si accontenti delle sue piccole cose e non si deprima dell’essere ormai relegato al margine delle grandi decisioni politiche.
Note sulle scene di Guido Buganza
Il Bardo come sempre crea non poche gatte da pelare allo scenografo: comʼè noto mal sopporta ingerenze scenografiche, ha già tutto nel testo, ne consegue che il passo deve procedere cauto e rispettoso. Quindi uno spazio aperto, essenziale, dalla forte connotazione grafica: tartan, tartan ancora tartan: sovradimensionato, astratto, mentale. I riquadri e le linee tracciano percorsi, perimetrano territori, come il conformismo borghese obbliga a “stare in riga”. Il luogo del bosco, dellʼirrazionale evocato dal buio profondo della notte, da trasparenze, comunque anchʼesse grafiche. E porte, soglie di case borghesi, spogliatoi o cabine dove si possono nascondere segreti e peccati malcelati. Mai come in questo allestimento la scena dialoga con i costumi nel segno grafico, ne è estensione. Ed è un felice connubio.
Note sui costumi di Ilaria Ariemme
Si dice che fu proprio Elisabetta I al grido di «More Falstaff, More Falstaff!» chiese a Shakespeare un’altra commedia con il pantagruelico personaggio favorendo dunque i natali del testo de Le allegre comari di Windsor. La leggenda vuole che la richiesta della sovrana nascesse da un innamoramento per il pingue Falstaff, ma in realtà doveva certamente servire a divertire il popolo e a distrarre la corte, sottile manipolazione che il potere agisce per avere il controllo. L’omaggio alla case reale inglese è in qualche modo celebrato attraverso uno stile formale, in cui l’eleganza segue la regola dell’adeguatezza ad un canone preciso che nel nostro lavoro si traduce nell’abbigliamento bon-ton del mondo borghese e soprattutto nella ripetitività dei pattern tartan tanto cari ad un’altra grande Elisabetta da poco scomparsa. Falstaff sovverte i canoni perché fuori dal coro, una sorta di ingenuo Sid Vicious (esplicito e voluto omaggio alla Westwood, rivoluzionaria regina del British Punk Fashion anch’essa purtroppo recentemente scomparsa) che nel tentativo di ribaltare le rigide regole di un mondo ufficiale viene da esso deriso e massacrato.
Note sul sound design di musiche Daniele D’Angelo
Quando Andrea Chiodi mi chiese di partecipare a questo progetto mi assalirono due ricordi distinti: la commedia, che avevo rivisto giusto l’estate prima nella versione di Edoardo Siravo, e il Falstaff verdiano. Della commedia ricordavo una infinità di parole e situazioni che non avevano l’esigenza di un commento musicale, mentre dell’opera, inutile dirlo, tanta musica divertente e piena di guizzi. Non sapevo bene cosa proporre finchè Andrea mi raccontò la sua visione. Ne fui subito entusiasta. Usare la musica per descrivere un mondo di uomini e donne leggeri e violenti mentre quel che li circonda ricorda l’origine e la tradizione. Allora ho creato delle atmosfere dance, da sabato sera, utilizzando stralci e lacerti dall’aria di Verdi Quell’otre, quel tino! oppure la voce di Orson Welles, che fu un grande Falstaff, tante citazioni che nella baraonda festaiola diventano solo l’eco di un ricordo ormai svanito.
Note sulla cura dei movimenti di Marta Ciappina
L’ambiente scenico, reticolato di latitudini e longitudini, evoca il design di una scacchiera.
Il galateo che anima la scacchiera è regolato da un principio di risonanza corporea in cui ogni “mossa” può avere fine o essere raccolta e orientata. Il principio di risonanza permette di tessere una ragnatela empatica innescando una solida allacciatura tra corpi destinati a procedere con andamento orchestrato.
Le grammatiche somatiche che vestono i personaggi sono l’esito di un puntiglioso scavo individuale: i gesti assumono le sembianze di insegne intime, eco di una fusione tra immaginazione e immagine, segnali che si stagliano dalla corrente con rigorosa indisciplina.
La punteggiatura corporea libera soluzioni espressive, emotive, stilistiche proiettate verso la conquista di una identità cristallina.
La scacchiera, la risonanza, la punteggiatura sono i preliminari per un atto di esagerazione, dissidenza e scarto in cui affiorano con impeto l’eccezionalità e la straordinarietà dei personaggi che, come in un gioco di scacchi, agiscono mossi da una inclinazione tattica e da uno sguardo balistico.
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