Una suggestiva “prima nazionale” di una pimpante ed empatica Lucrezia Lante della Rovere accompagnata rispettivamente dal violino di Patrizia Bettotti, dal violoncello di Giancarlo Trimboli e dal pianoforte di Corrado Ruzza ha dato vita a: “Una donna per tutte le stagioni” di Silvia Felisetti, autrice dei testi dello spettacolo. Un titolo quest’ultimo che almeno inizialmente avrebbe potuto far alludere alle “Quattro stagioni”, la nota opera di Antonio Vivaldi e che il trio ha prontamente iniziato a suonare”. Ma che, evidentemente, non era quanto l’attrice avrebbe voluto proporre al suo pubblico, perché lo sfondo musicale – già naturalmente programmato – era quello de le “Stagioni” del compositore russo PPëtr Ciaikovski.
Lucrezia scherza, ammicca, sorride e “accompagna” il suo uditorio in un viaggio intraprendente tra musica e narrazione per raccontare un anno intero, cadenzato mese dopo mese, di racconti femminili. “Il punto di partenza di questo spettacolo” è dato dalla presentazione di alcuni versi di poesie estrapolate dalle lettere di Emily Dickinson contenute nel volume: “Emily Dickinson e i suoi giardini” di Marta McDowell; poi, tutto il resto, è il frutto sapiente del certosino ed originale lavoro drammaturgico della Felisetti.
Ebbene, in questo contesto, l’attrice è entrata subito in sintonia con gli spettatori in una location fantastica come quella dell’orto botanico “Santicelli” di Soverato (Cz) che “ancora giardino non è” per dirla con la direttrice artistica di Armonie d’arte festival, Chiara Giordano – nell’introduzione di presentazione dello spettacolo – , ma “che presto lo diventerà, dato che ci stiamo lavorando…” ha chiosato sorridendo ancora quest’ultima.
Ebbene, l’attrice romana è stata “l’unica” protagonista “di concerto” con i musicisti, intenta ad interpretare dodici donne diverse, nel loro “diverso” approccio allo scorrere ineluttabile del tempo.
Una libera interpretazione, unica nel suo genere, in cui abbiam assistito ad una Lucrezia nazionale intenta appunto a spiegare, in un frangente, finanche in dialetto siculo e successivamente in romanesco, il ruolo rivestito in quel periodo da una di quelle stesse donne e che più di qualche sorriso benevolo ha saputo suscitare. Si è trattato di un lavoro che ha saputo mirabilmente “coniugare materia e spiritualità, paesaggio ed immaginario in quelle stagioni che nel loro susseguirsi creano un tempo”. Un tempo che lascia intravedere, fa trapelare qualcosa della poesia della Dickinson e della sua complessa personalità, ma che parecchi dubbi solleva dato l’enigmatismo che l’ha sempre caratterizzata. Il “bis” finale conclude la serata “green”.