Un’ondata di emozioni vigorose in un luogo dove il tempo s’annulla a ridosso del golfo di Squillace con davanti, sullo sfondo, al di là delle mura antiche, dello specchio di mare eccezionale che fungeva da riflesso. Ebbene, miglior modo per ricordare i 150 anni dalla nascita del grande tenore napoletano Enrico Caruso nello scenario incantevole dell’antica Grangia di sant’Anna a Montauro (Catanzaro) non ci poteva essere.
Una location che ha fatto da cornice ad un concerto che ha suscitato sentimenti forti alla vasta platea di spettatori che ha potuto assistere alle performance eccezionali di artisti a tutto tondo nel penultimo appuntamento di “Armonie d’arte festival” ideato dal direttore artistico Chiara Giordano in una coproduzione originale con l’Orchestra sinfonica della Calabria.
A partire da una protagonista assoluta come Lina Sastri, che non ha certo bisogno di presentazioni, intensa come sempre e che trasuda di napoletanità con interpretazioni uniche che soltanto lei avrebbe potuto osare, ad un tenore di grande levatura che risponde al nome di Fabio Armiliato e, nondimeno, alla stessa orchestra sinfonica della Calabria diretta in modo ineccepibile dal maestro Francesco Ledda che ha concesso l’opportunità, oltreché a tutta l’orchestra che lo ha attorniato, composta da validi musicisti, anche a due dei suoi membri per far sentire agli spettatori quanto fossero bravi con i propri strumenti – rispettivamente il clarinetto e la fisarmonica – nell’esecuzione di alcuni brani notori.
E ad iniziare è proprio Armiliato che esordisce con “Lucevan le stelle” tratto dalla Tosca di Giacomo Puccini. Ma il primo moto di commozione Armiliato lo fa scaturire a stretto giro di posta con l’aria che più delle altre rese famoso Caruso ovvero “Vesti la giubba”, contenuta all’interno dell’opera lirica “Pagliacci” composta a fine ‘800 da Ruggero Leoncavallo. Senza soluzione di continuità è la volta di “Por una cabeza” di Carlos Cardel, “Libertango” di Astor Piazzolla soltanto per citare qualche brano fino al “Can Can” di Offenbach con il cadenzare delle mani del pubblico guidato dal Maestro nella bella interpretazione dell’orchestra con i suoi solisti. Brani che lasciavano intendere i “passaggi” di Caruso fuori dalla sua amata Napoli che lasciò all’indomani delle critiche ingiuste che ricevette quando cantò “L’elisir d’amore” al San Carlo nel dicembre del 1901.
A raccontare qualcosa dell’uomo e dell’artista Caruso, la stessa Sastri: dei suoi successi, della vita mondana e della malattia che lo colse inerme nel 1921 anno in cui morì a soli 48 anni. Ma la Sastri “sale in cattedra” con la più classica delle canzoni napoletane scritte da Caruso:“Core n’grato” e qui la trepidazione del pubblico diventa più forte… E’ un crescendo di emozioni. Soprattutto poi quando canta “Torna a Surriento” di Ernesto Giambattista De Curtis, altro brano a cui Caruso era profondamente legato. E dopo aver omaggiato Lucio Dalla con la sua “Caruso”, la standing ovation conclude il concerto non senza il bis della celeberrima “O sole mio” di Capurro e Di Capua che vedrà Armiliato e Sastri cantarla insieme sul palco con ognuno a fornire – prima lui e poi lei – la propria interpretazione di questo brano; e qui altri fragorosi applausi ed un’altra standing ovation a tutti i protagonisti di questa splendida serata con il “bravi tutti!” che echeggiava nella notte ventosa e calda della Grangia…