Festival Rossini in Wildbad 2023
Ancora un successo per la rassegna del Belcanto
Bad Wildbad non è soltanto una piacevole oasi di pace nella Foresta Nera. Il borgo termale ospita infatti ogni estate la piccola e raffinata rassegna “Rossini in Wildbad Belcanto Opera Festival”, fondata nel 1989 nel ricordo di un memorabile soggiorno del grande compositore nella cittadina.
Questo luglio la kermesse, che richiama ogni stagione un pubblico internazionale ha presentato due titoli rossiniani e la riscoperta di un lavoro di Giovanni Pacini dimenticato da tempo immemorabile.
Il nostro viaggio nel Belcanto inizia con la matinée de Il Signor Bruschino, rappresentato negli eleganti interni neo-barocchi del piccolo Königliche Kurtheater. Jochen Schönleber già portò in scena questa farsa giocosa in un atto a Bad Wildbad nel 2009, con Bruno Praticò nel ruolo del titolo e Stefania Bonfadelli come Sofia. Il regista tedesco ne propone adesso una versione rivista e fa muovere i personaggi fra la sabbia e le sdraio dei “Bagni Gioacchino”, uno stabilimento balneare, vintage e piuttosto male in arnese. Potrebbe essere sul Tirreno, ma anche sulla riva del fiume Enz che scorre attraverso Bad Wildbad. Si entra in scena, e se ne esce, attraverso le cabine mare dello stabilimento. Spesso in asciugamano e sandali. Si respira un clima estivo, grazie anche ai costumi colorati e un po’ démodé di Olesja Maurer. José Miguel Pérez-Sierra, ai comandi dell’Orchestra Filarmonica di Cracovia si presenta in buca con cuffia e occhialini da nuoto. Il maestro spagnolo impronta poi la direzione a leggerezza e brio, tenendo bene insieme orchestra e palcoscenico. Ne esce uno spettacolo in cui tutto scorre con vivacità e grazia, senza cadute di stile. Gaudenzio (il gestore dello stabilimento) è in cattive acque e pensa di risolvere le sue difficoltà economichesposando la pupilla Sofia al figlio del signor Bruschino, un suo ricco amico. Peccato che la fanciulla sia innamorata del giovane Florville e che lo stesso Bruschino junior sia prigioniero in una locanda per non avere saldato i conti. Dopo una lunga successione di malintesi e di scambi di persona, l’amore trionferà. Un libretto deboluccio che viene però valorizzato dalla vivacità dello spettacolo, perfetto per una giornata estiva, e da un cast fresco e ben assortito. Il giovane soprano Eleonora Bellocci dipinge le passioni di Sofia con gesto espressivo e voce luminosa, sempre sicura nelle acrobazie richieste dalla parte. Irresistibile per capacità attoriale Emmanuel Franco nel ruolo di Bruschino padre, tipico ruolo da basso buffo rossiniano. Giorgio Caoduro, baritono di grande musicalità, si impone come Gaudenzio. Bene anche i comprimari, a partire dalla vivace Marianna di Camilla Carol Farias. Francesco Bossi come taverniere e Filiberto Bruno come delegato di polizia detective forniscono buone interpretazioni vocali e recitative, mentre Il tenore Hyunduk Kim restituisce con gentilezza gli accenti amorosi del giovane Florville. Meritati applausi per tutti.
Finito lo spasso de Il Signor Bruschino, si ha giusto il tempo di rinfrescarsi con una passeggiata nel verde del parco delle Terme, prima di lasciarsi andare alla perfetta macchina teatrale del Barbiere di Siviglia. Jochen Schönleber, che firma anche questa regia, racconta la vicenda dalla prospettiva di Don Bartolo. Povero Don Bartolo! Gli piomba in casa l’esuberante Rosina di Teresa Iervolino e da lì incominciano le sue sofferenze. Qualunque tentativo di tenere sotto controllo la fanciulla e sposarla si rivela una “inutile precauzione“. Emergono impietosi i contrasti fra il vedovo attempato e i giovani pieni di vita, fra i suoi sogni impossibili e la realtà. Si ritrova in un mondo troppo veloce, che non riesce a dominare, e tutto diventa un incubo. Jochen Schönleber ci mette davanti a un Don Bartolo
ben diverso dal solito cliché del vecchio avido e ce ne propone una lettura che ispira compassione.
Intanto gli arredi lineari ed efficaci proposti da Lars Werneke concentrano l’attenzione sulle voci, i gesti e le espressioni dei cantanti. Il mezzosoprano Teresa Iervolino, voce agile e dai bei colori bruniti, sprigiona scintille fin dal suo ingresso in scena e tratteggia una Rosina ideale. Fabio Capitanucci, eccellente basso buffo, si cala perfettamente in questo Don Bartolo angariato e alle prese con una gioventù che va a velocità doppia della sua. César Cortés è un Conte Almaviva elegante e preciso nelle acrobazie vocali; il suo rondò finale “Cessa di più resistere”, cantato con grande sicurezza, suscita il plauso caloroso della platea. Solido per voce e gesto il Figaro del baritono statunitense John Chest. Buffo e impiccione il Basilio del basso Shi Zong, mentre la Berta di Francesca Pusceddu aggiunge un tocco di arguzia femminile alla serata. Il baritono Francesco Bossi completa il cast nel duplice ruolo di Fiorello e dell’Ufficiale. Raffinata e dai colori vivaci la direzione del maestro Antonino Fogliani. La rappresentazione viene salutata con calore dal pubblico.
La nostra estate del Belcanto di Bad Wildbad finisce in bellezza con la prima rappresentazione moderna, in forma di concerto, de Gli arabi nelle Gallie ossia Il trionfo della fede. Questa opera seria in due atti di Giovanni Pacini debuttò con grande successo alla Scala di Milano nel 1827, conobbe un certo successo negli anni seguenti (si possono rintracciare più di 80 produzioni nel decennio 1827-1837) per poi scomparire quasi completamente dal repertorio al principio degli anni Quaranta. Quasi un trentennio dopo la sua prima esecuzione, Pacini ne intraprese una revisione che andò in scena il 30 gennaio 1855 a Parigi. L’opera poi sparì dai teatri e lo stesso Pacini fa parte della schiera dei compositori belcantisti quasi caduti nel dimenticatoio.
Il libretto di Luigi Romanelli (tratto da un romanzo romantico di Charles-Victor Prévost d'Arlincourt) racconta i tormenti amorosi, e non solo, di due rampolli di stirpe reale, che il destino ha collocato in campi avversi. La principessa Ezilda cerca di organizzare la resistenza contro le armate arabe che hanno invaso la Gallia. Il comandante supremo degli infedeli, il terribile Agobar, è in realtà Clodomiro, ultimo erede dei Merovingi e in passato promesso sposo di Ezilda. Dato per morto, dopo che il padre è stato privato del trono franco da Carlo Martello, il giovane è passato dalla parte degli arabi. I due ex-fidanzati si riconoscono e gli affetti amorosi ovviamente si riaccendono. Agobar adesso si tormenta, sospeso fra passato e presente, fra il dovere militare e la passione rinnovata, finché non comanda alle sue schiere di risparmiare la Gallia dal saccheggio. Gli arabi, avidi di bottino,
non prendono troppo bene questa decisione e complottano per ucciderlo. Leodato, il comandante dei cristiani catturato dagli arabi, avverte Agobar (che gli aveva risparmiato la vita) del complotto, ma non riesce comunque a salvarlo. Agobar/Clodomiro muore fra le braccia di Ezilda, pugnalato dai suoi stessi soldati, non prima di aver riabbracciato la vera fede.
Un cast di livello restituisce vita alle gesta guerresche dell’opera di Pacini. Michele Angelini convince pienamente come Agobar, ruolo di vocalità intensa che Pacini creò per il celebre cantante rossiniano Giovanni David. Con grande sicurezza in tutta la tessitura e fraseggio autorevole, il tenore italo-americano conferisce animo nobile alla psicologia tormentata del protagonista. Al suo fianco, anche se in campo avverso, desta ammirazione Serena Farnocchia che domina con slancio e sensibilità la parte drammatica della principessa Ezilda. Il soprano spazia con agilità dai momenti di lirismo dispiegato agli accenti più raccolti e dolenti. Il duetto del secondo atto tra Ezilda e Agobar “Va’menzogner” è una delle pagine più struggenti della serata. Una menzione particolare anche per il mezzosoprano Diana Haller che, nei panni di Leodato, si distingue per la ampiezza dei mezzi vocali e
per i colori bruniti del timbro. Roberto Lorenzi restituisce gli accenti di Gondaïr, confidente della principessa Ezilda, con voce potente di basso-baritono. Bene il gruppo dei comprimari.
Gli arabi nelle Gallie sono un lavoro molto corale, in cui echeggiano le paure e le speranze di un paese dilaniato dalla guerra, diviso fra un esercito di invasori e la popolazione che cerca salvezza. Di fatto il coro appare in quasi tutti i numeri della partitura, domina l’introduzione e il finale. Il Coro Filarmonico di Cracovia, istruito da Piotr Piwko, si merita gli applausi del pubblico per la accuratezza con cui rimanda le passioni delle masse, siano esse i montanari gallici, i soldati arabi o le fanciulle del chiostro. Sotto la direzione del maestro Marco Alibrando l’Orchestra Filarmonica di Cracovia esegue con slancio e precisione lo spartito molto marziale (largo lo spazio concesso a trombe e tamburi) di Giovanni Pacini. Paolo Raffo accompagna i recitativi al fortepiano, come già nel Barbiere della sera
prima. Applausi fragorosi salutano i vari numeri e il sipario finale.
Ancora una volta la rassegna di Belcanto di Bad Wildbad ha soddisfatto le attese dei palati musicali più fini. Arrivederci al prossimo anno!