Nel giardino che circonda l’abside della Basilica dei Santi Bonifacio e Alessio all’Aventino, si è chiusa la maratona teatrale che ogni anno va in scena con la rassegna Pirandelliana, giunta alla XXVII edizione, atteso appuntamento dell’estate romana.
La passione e l’entusiasmo di Marcello Amici con la sua compagnia Bottega delle Maschere, ha proposto un ampio repertorio della produzione teatrale e delle novelle del drammaturgo di Girgenti, con dieci atti unici raggruppati a sere alterne e l’Enrico IV nell’ultima settimana.
Dal 1999 Marcello Amici è l’indomito anfitrione di quel giardino che si affaccia sul Lungotevere incorniciato da un rigoglioso pergolato, dove nelle sere estive sul palcoscenico addossato all’abside della basilica va in scena l’universo pirandelliano di antinomie fra realtà e finzione, pazzia e ragione, mentre sul profilo della capitale il sole irraggia i rossastri bagliori del tramonto dietro la cupola della basilica di San Pietro.
Nel panorama teatrale romano il regista-attore è ormai la voce di Pirandello.
Essenziale e scarno, Amici incarna Enrico IV ondeggiando tra realtà e follia, mentre gli interpreti, da lui diretti, sottolineano la connotazione beffarda dei personaggi, evidenziandone postura e intonazione, dentro la nera scenografia minimalista contornata di rosso di Marcello de Lu Vrau, che evoca l’astrattismo.
Intorno al capocomico si muovono Tiziana Narciso, Maurizio Sparano, Federico Giovannoli, Francesca Sampogna, Francesco Meriano, Martina Pelone, Luca Mandara, Mariaelena Pagano, Marco Tonetti, Andrea Giannelli.
Come nuovo consigliere del re è stato assunto un giovane che è in dubbio su quale sia l’Enrico IV con cui si identifica il folle signore da servire.
Entrano in scena i personaggi in abiti contemporanei rievocando l’antefatto. In occasione del carnevale un gruppo di persone prende parte a una cavalcata storica cui partecipano un nobile nelle vesti di Enrico IV di Franconia, Matilde Spina (di cui è innamorato) come Matilde di Toscana e il suo rivale barone Belcredi che sabota il cavallo facendolo disarcionare e battere la nuca. L’incidente imprigiona l’uomo nel suo personaggio, assecondato dalla famiglia che gli mette al servizio nel palazzo dei giovani che fingono di essere i consiglieri segreti del re.
Dopo 20 anni, un medico accompagnato da Matilde e Belcredi, vuole attuare un tentativo che potrebbe farlo rinsavire inscenando la situazione che lo ha precipitato nella follia, con Frida, figlia di Matilde cui somiglia totalmente, nel ruolo della madre da giovane. Enrico IV, con un saio da penitente come a Canossa per impetrare la revoca della scomunica da papa Gregorio VII, svela ai servitori di aver capito che gli ospiti sono impostori travestiti, poiché da otto anni ha riacquistato la ragione ma ha preferito continuare con la finzione della follia per combattere la solitudine. Ai giovani allibiti confessa il rimpianto per la sua gioventù e la donna amata e, in un drammatico monologo sulla responsabilità umana, suggerisce loro di godere del piacere di vivere nella storia dove tutto è immutabile perché già avvenuto.
La pantomima che intanto viene allestita lo disorienta alla vista di una giovanissima Matilde. Nel parapiglia avviene un delitto, e ad Enrico IV non resterà che continuare a fingersi pazzo sapendo di non esserlo, mentre gli altri lo sono senza saperlo. Tale stato lo proteggerà dalla realtà della vita che non ha vissuto e dalle conseguenze del suo delitto.
Istrionico e visionario Amici, apparentemente fragile, trasmette potenza vocale e posturale nella duplicità di visione del suo personaggio, tra la follia pacata e la lucidità esasperata che trova ristoro nella pazzia per scelta.
Dalle note di regia: “Come un vecchio attore, aveva voluto restare nei panni del suo personaggio per viverla con la più lucida coscienza la sua pazzia. Quando sul finale quello che fu il suo rivale in amore scopre che Enrico IV non è più un pazzo e la tensione del racconto raggiunge il massimo della sua iridescente angoscia aprendosi ad un omicidio, la regia fulmineamente lo esclude con una fervida intuizione.
La regia è uscita dalle abitudini, dalle pratiche pirandelliane, non ha interpretato la maschera e la persona, ma capito perché Enrico IV si piace in quella carnevalesca rappresentazione che dà a sé stesso e agli altri della sua regalità… La sua esistenza si risolve e si dissipa in azione scenica. Ecco perché la recitazione, la ricomposizione del testo, le musiche, tutto diventa spia di una precisa lettura registica dove il confine tra personaggio-uomo e personaggio-attore si rarefà sino a diventare inafferrabile. Enrico IV è un attore e un poeta che conosce la stoffa di cui sono fatti i sogni, due ruoli per lo stesso personaggio, come non a caso insegna Michel Foucault nella Storia della follia, e tanti drammi di Shakespeare stanno lì a testimoniarlo… Enrico IV è l’altro versante del quotidiano, è l’aspirazione a mettersi in salvo nei ruoli intimati dal mondo della fantasia. È un poeta malinconico avvolto in un mantello di solitudine, è un Amleto che discetta sulla condizione umana di cui è vittima e trionfatore, indossa e si fa carico del travestimento per la vita. È l’attore che assume su di sé la funzione della follia per scrollare le certezze che ancorano l’esistenza. È lo scrittore che si rinchiude definitivamente nella sua arte”.
Tania Turnaturi