Il nuovo Parsifal del Festival di Bayreuth
La Realtà Aumentata e il Santo Graal
Inforchiamo gli Occhiali per la Realtà Aumentata e inizia il viaggio in questo nuovo Parsifal. Sulle note del Preludio un oceano di stelle e di lucine fluttua nell’aria davanti a noi e dilata il flusso musicale che esce dal Golfo Mistico. Sembra davvero che il “tempo diventi spazio”, come recita Gurnemanz nel primo atto. Anzi che le due dimensioni si fondano fino a diventare indistinguibili e inizi un viaggio verso una dimensione remota.
Il nuovo allestimento del Parsifal, realizzato dal regista americano Jay Scheib e del suo team per il Festival di Bayreuth 2023, aggiunge uno strato di illusioni create al computer, che si frappongono fra la platea e il palcoscenico. La Realtà Aumentata, disegnata da Joshua Higgason, continuerà a creare chimere a getto continuo per tutta la durata della recita. Immagini tridimensionali che fluttuano nell’aria. Rocce, giganteschi rami spinosi (rimando alla corona di spine della Passione?), teschi e cuori palpitanti, umanoidi, bestie e insetti vari. Almeno per quei 330 fortunati spettatori su quasi 2000 per cui erano disponibili gli occhiali AR. Pare che l’anno prossimo il numero dei fortunati aumenterà.
Passato l’incanto iniziale, il tutto diventa un po’ stancante. Alle fantasmagorie virtuali si sommano anche i filmati che scorrono sul fondo della scena e seguire la rappresentazione diventa un continuo multitasking. Difficile riuscire a concentrarsi su una sola dimensione dello spettacolo. Confesso che di tanto in tanto mi sono tolto gli occhiali AR e ho seguito come uno spettatore “normale”.
Fortunatamente per la maggioranza degli spettatori, lo spettacolo ideato da Jay Scheib -che è anche professore di Musica e Arti Teatrali e direttore del Programma di Arti Teatrali presso il Massachusetts Institute of Technology- funziona anche senza i miraggi della realtà aumentata, grazie a un approccio registico essenziale e sostanzialmente classico. Nel primo atto le scene di Mimi Lien collocano i Cavalieri del Graal su una spianata di un qualche pianeta. Una pozza d’acqua limpida al centro. Lunghe antenne protese verso lo spazio esterno. Potrebbe essere un episodio di Star Trek.
Anche i costumi disegnati da Meentje Nielsen, con i Cavalieri in mimetica, ricordano un poco quell’estetica. O è un impianto industriale, magari su Pandora, visto che il Graal non è altro che un blocco di cobalto? Intanto il computer continua a generare effetti speciali, un grande cigno ferito a morte da una freccia volteggia sulla platea; altre frecce, per fortuna virtuali, sono sparate verso gli spettatori.
Un Klingsor in costume rosa Barbie ed elmo alla Loki ci introduce al secondo atto, collocato in un beach club molto colorato e floreale. La realtà virtuale ci fa vedere fiori giganteschi e creature che sembrano uscite da una tela di Hieronymus Bosch. Una versione aggiornata del giardino di Ravello da cui Wagner prese ispirazione per il giardino delle delizie di Klingsor. Le Fanciulle Fiore, anche loro in rosa, amoreggiano fra di loro e provano a sedurre Parsifal (che si presenta con “Remember Me” scritto sulla maglietta) ma il Puro Folle è destinato a rimanere puro. Neanche l’ambigua Kundry riesce ad ammaliarlo. Parsifal strappa la lancia a Klingsor, ormai sconfitto, e il pool party si riduce a cumulo di macerie.
Il terzo atto ci trasporta in una landa desolata che sembra uscita da un film distopico. I Cavalieri sono una banda di moribondi attorno a una pozza d’acqua contaminata. Su un lato del palco è spiaggiato lo scheletro di una grande macchina escavatrice. Una scena molto forte e una chiara denuncia dei danni dello sfruttamento indiscriminato dell’ambiente. Nell’aria danzano batterie usate, sacchetti e bottiglie di plastica, rifiuti elettrici. E alla fine Parsifal, invece di scoprire il Graal, frantuma con forza il blocco di cobalto, iniziando forse una nuova era di armonia con la Natura.
Durante la recita sorge spontanea qualche riflessione sul valore aggiunto di questo esperimento teatrale. Ci si chiede anche cosa ne penserebbe Wagner, sempre stato un fautore dell’uso delle tecniche sceniche più moderne. Da una parte si può solo ammirare la mole e la precisione del lavoro tecnico sottostante (si pensi solo che gli occhiali AR sono personalizzati tenendo conto di diottrie e millesimi di ogni singolo spettatore) e indubbiamente la Realtà Aumentata regala dei momenti piacevoli, a tratti anche poetici. Questo esperimento ha però sono anche dei costi, senza dubbio economici, ma anche in termini di perdita di attenzione dello spettatore. In più qualche volta le immagini virtuali che beccheggiano davanti a noi ostruiscono la visione del palco, soprattutto nel secondo atto.
Rimane un ultimo dubbio: vista lo slancio sperimentale degli ultimi Bayreuth perché non provare finalmente a sperimentare anche coi sottotitoli? Non credo di essere l’unico a domandarselo.
Se la parte visiva dello spettacolo fa alzare qualche sopracciglio l’eccellenza della parte musicale mette tutti d’accordo. Debutto trionfale al Festival per Pablo Heras-Casado. Il direttore spagnolo porta sulla Collina Verde una ventata di nuova ispirazione, tracciando tempi tutto sommato veloci, ma che non tralasciano nessuna sfumatura e tracciano linee morbidissime. Alla fine, sarà giustamente festeggiato dal pubblico.
Omogeneo e di grande livello il cast schierato dal Festival. Andreas Schager è subentrato nel ruolo del protagonista a due settimane dall’apertura del Festival. Per fortuna, viene da dire. Il tenore austriaco, che al Festival canta anche Siegfried nel Götterdämmerung, unisce potenza eroica a tonalità più intime, con felici risultati espressivi, anche grazie alla recitazione che dipinge tutta la ingenuità giovanile del protagonista. Ekaterina Gubanova canta Kundry e non fa rimpiangere la Elina Garanca acclamata alle prime recite. Ottima per espressione, gesto e voce ricca di passione e di colori caldi. Semplicemente impeccabile il Gurnemanz di Georg Zeppenfeld, una presenza regolare sulla Collina Verde e già Gurnemanz nel precedente Parsifal di Uwe Eric Laufenberg
(https://www.teatrionline.com/2019/09/tannhauser-bayreuth/), che offre alla platea unità perfetta di dizione, canto e gesto. Derek Walton dà espressione dolente e autorevole ad Amfortas, condannato a patire in eterno per aver peccato. Intenso e perverso il Klingsor di Jordan Shanahan e ben cantato il Titurel Tobias Kehrer, abbigliato come l’abate Faria.
Dal coro di Bayreuth, diretto da Eberhard Friedrich, ci si aspetta la solita eccellenza. In questo Parsifal si va addirittura oltre. Esemplare per forza espressiva per tutta la recita, diventa impressionante per veemenza nel terzo atto, quando i Cavalieri si stringono minacciosi attorno ad Amfortas per esortarlo a compiere il rito del Graal.
Al sipario finale lunghi minuti di applausi con standing ovation.
Appuntamento al prossimo anno con il nuovo allestimento del Tristano, con Andreas Schager e Camilla Nylund, al 2025 per i nuovi Cantori e soprattutto al 2026, quando la Festspielhaus ospiterà per la prima volta il Rienzi, terza opera del Meister e sempre escluso dal “canone di Bayreuth”.