Un gioiello di sublime bellezza esaltato dalla direzione di Rinaldo Alessandrini, elegante concertatore sul podio, dalla regia di Damiano Michieletto che tratteggia un cupo dramma sul destino, dalla presenza di tre controtenori, vere superstar del barocco: il Giulio Cesare in Egitto di Händel, che torna al Teatro dell’Opera di Roma dopo tanti anni (ultima rappresentazione nel 1998) è un vero trionfo, applaudito a scena aperta.
L’allestimento, al debutto nazionale, (coprodotto dall’Opera) e andato in scena già a Parigi e Lipsia, trasforma il capolavoro barocco di Händel in un dramma moderno sul destino che travolge Giulio Cesare: attratto dalla “potenza, dalla capacità dell’opera barocca di andare in una dimensione spirituale” Michieletto pensa a un Cesare quasi spettatore delle altrui azioni e del proprio destino rappresentato in scena dalle Parche, che appaiono come tre inquietanti figure femminili nude, che si muovono lentamente, e nella ragnatela di fitti fili rossi che simboleggiano e stabiliscono lo scorrere e il tempo della vita. Michieletto agisce anche attraverso i simboli del tempo, dalle Parche, alla clessidra, dalla presenza del fantasma di Pompro (in stile Banquo) e “sfida” l’immobilismo dell’opera barocca con i suoi reiterati da capo.
Senza indugiare nella staticità dell’azione, il regista insiste sulla involuzione/evoluzione della vicenda, tratteggiando atmosfere più cupe e drammatiche che anticipano il destino di Cleopatra, ma anche di Cesare, richiamato dai congiurati in abiti romani che si aggirano in scena. Attraverso immagini di forte impatto visivo, Michieletto punta poi sulla specificità di ogni personaggio in scena: Cesare, uomo maturo un po’ stordito e sul viale del tramonto, Tolomeo, crudele e assetato di potere, Cleopatra pronta a tutto per di salvaguardare sé stessa, Cornelia incapace di elaborare il lutto, Sesto Pompeo, personaggio che diventa uomo. Per il regista, lo sviluppo narrativo del Giulio Cesare, al di là della “capacità del barocco di fermare il tempo” con le sue incantevoli arie, secondo Michieletto, si concentra soprattutto su personaggi diversi rispetto a Giulio Cesare, quasi in balìa degli eventi.
Semplici ed essenziali, quasi all’estremo, le scene di Paolo Fantin, collaboratore abituale di Michieletto: l’opera si apre su uno spazio bianco, ma di un bagliore accecante, che accompagna l’arrivo trionfale di Cesare in Egitto, ma che si trasforma in spazi via via più scuri, nelle luci, con il telo di plastica che attraversa e divise la scena, con la fitta trama dei fili rossi delle Parche in scena. Adeguatamente moderni i costumi di Agostino Cavalca, che veste Cesare in elegante completo con giacca e cravatta o Cleopatra in paillettes e sofisticati abiti che sanno di citazioni cinematografiche, avvolge Tolomeo in un sorprendente mantello di paillettes, cedendo ai costumi storici solo con Pompeo e con i congiurati delle Idi di Marzo che si aggirano armati di pugnali in scena.
Ma ovviamente al centro c’è non solo la musica, ma la musica che accompagna le voci, e che voci: Raffaele Pe, vivace promotore della cultura barocca, è un eccellente, controverso e quasi frivolo Giulio Cesare (al debutto del ruolo) che sfoggia incredibile perfezione tecnica. Rémy Brès-Feuillet (in scena nelle repliche del 17 e del 19 ottobre e si alterna con Carlo Vistoli) brilla nel complesso ruolo del terribile e capriccioso Tolomeo, efebico tiranno che perisce per mano di Sesto Pompeo, interpretato con vigore e pieno spessore psicologico da Aryeh Nussbaum Cohen, che ben disegna la crescita e la maturazione del personaggio. Luminosa e suadente la Cleopatra di Mary Bevan, avvezza ad eleganti travestimenti con piglio regale, magnifica la Cornelia di un’insuperabile Sara Mingardo. Completano l’ottimo cast Rocco Cavalluzzi (Achilla), Nireno (Angelo Giordano), Patrizio La Placa (Curio).
Applausi al cast, ma anche alla sublime direzione di Alessandrini, star del barocco, che regala sempre ricchezza e spessore psicologico a ogni personaggio, a ogni momento, plasmando l’Orchestra capitolina: crea un equilibrio moderno e armonioso fra la musica e la voce degli artisti, ne esalta la vocalità, ma non tradisce la musica. Ultime repliche giovedì 19 (ore 19) e sabato 21 ottobre (ore 18), ma i tre controtenori, voce frutto di studiata artificiosità, tornano poi in scena il 20 ottobre ore 20 per un concerto unico che fa rivivere i fasti del barocco, prima dell’ultima replica di sabato 21 ottobre. Semplicemente imperdibile.
Fabiana Raponi