NOTE DI REGIA
Il progetto triennale “El Nost Milan” nasce dall’esigenza di trovare una “casa” per l’ampia comunità che partecipa ai laboratori di Atir rivolti al territorio: educatori, attori, registi, adolescenti, anziani, diversamente abili, studenti delle accademie di belle arti, stranieri e minori non accompagnati, drag queen e king, adulti amatori.
In assenza di un luogo fisico (il Teatro Ringhiera, chiuso dal 2017 per lavori di ristrutturazione) occorreva trovare un luogo metafisico, capace di tenere unite le persone e dare senso e continuità al progetto di inclusione sociale che tanto ci sta a cuore. Una narrazione comune, una grande storia da condividere, mi è sembrato quel luogo metafisico che poteva tenerci uniti. Ed ecco El Nost Milan del Bertolazzi. Un’opera verista che racconta la città, la stessa che come cittadini viviamo tutti: Milano. Un’opera colossale, direi epica, che debuttò proprio al Teatro Carcano a fine ‘800.
El Nost Milan è diventato l’ispirazione per un viaggio alla scoperta di Milano, oggi. Cittadini che esplorano la città e la raccontano ad altri cittadini. Una città che si specchia in se stessa. A teatro.
L’anno scorso abbiamo affrontato la prima parte del testo: la povera gente. Quest’anno affrontiamo la seconda parte: i signori.
Il lavoro svolto nell’arco dell’anno è stato lo stesso del precedente: individuare dei “luoghi” di assoluta ricchezza nella città, provare andare a visitarli, a conoscerli dal vivo e poi restituirli in un frammento, in una scena teatrale. Ogni gruppo laboratoriale ha un educatore, un regista e un drammaturgo di riferimento.
Le varie scene vengono poi cucite da me e da Tindaro Granata in un unico flusso, grazie anche agli interventi narrativi affidati a Lella Costa.
A differenza dell’anno scorso il viaggio è stato molto difficile. La maggior parte dei luoghi scelti si sono rivelati inaccessibili. La vera ricchezza, abbiamo constatato, si mostra continuamente, attraverso prodotti e visioni, ma non si svela mai. Contratti di riservatezza, tornelli e porte blindate, vetri oscurati, badge, sorveglianza, accessi laterali chiusi ai più, citofoni privati che mai
diresti possano condurre da qualche parte, eliporti, corridoi, un dedalo di impedimenti. La vera ricchezza è inafferrabile, misteriosa, impalpabile, immateriale, segreta e, sorprendentemente, sobria. Puoi adorarla, desiderarla, addirittura agognarla ma conoscerla, no, non puoi.
Con Maria Spazzi, scenografa responsabile del coordinamento scene, Marianna Cavallotti e Chiara Modolo, scenografe responsabili del coordinamento attrezzeria e infine Claudia Botta, costumista responsabile del coordinamento costumi, abbiamo pensato ad un luogo magico, avvolto dalla penombra, dove strani sacerdoti si aggirano e dove un enorme sfera nera appena appena dorata si erge come simbolo da venerare. Un mistero che avvolge la condizione umana da sempre, a cui è
quasi impossibile sfuggire. Uno dei riferimenti principali è stato Eyes Wide Shut di Stanley Kubrick.
La mancata esperienza ha reso tutto più complesso: il rischio di dire banalità, di restare sulla superficie dell’onda, di diventare retorici o scontati era altissimo. Abbiamo cercato, quindi, di fare la sola cosa che ci sembrava reale e onesta: raccontare
l’esperienza mancata. In taluni casi siamo andati di fantasia, in altri abbiamo messo insieme quelle poche informazioni raccolte, in altri ancora abbiamo restituito le emozioni dei partecipanti di fronte a quelle porte chiuse e quelle bocche cucite.
Sempre armati di ironia e leggerezza.
Serena Sinigaglia |