Approda a Pescara, sul palcoscenico del Florian Espace, Stefano Sabelli con il suo “Figli di Abramo“, tratto dal testo del drammaturgo scandinavo Svein Tindberg. Appare d’obbligo l’impiego di un verbo legato al viaggio per uno spettacolo che sta attraversando una vasta porzione del territorio nazionale: prima di Pescara, la tourneé ha conosciuto le tappe di Milano, Roma e Sinnai (Cagliari); farà poi rotta verso la Calabria, le Marche e di nuovo Roma, stando solo alle date fin qui in programma. Ma ancor più, il viaggio è il protagonista non dichiarato del lungo racconto di cui lo spettacolo di Sabelli si compone. La vicenda di Abramo, il protagonista eponimo, è difatti integralmente intrecciata ad un destino di migrazione, in cui la materia spirituale della fede si transustanzia nella fisicità del viaggio, alla ricerca della Terra Promessa. Ed un viaggio è lo strumento che conduce, nel nostro tempo, il narratore alla scoperta della figura di Abramo e delle sue molteplici rifrazioni.
Facciamo dunque ordine: “Abrahams Barn” (titolo originale dell’opera) nasce dal viaggio compiuto dall’attore norvegese Svein Tinberg con destinazione Gerusalemme. In Norvegia, lo spettacolo diventa presto un successo clamoroso, propagandosi come un’onda dai piccoli teatri fino ai palcoscenici più prestigiosi, imponendosi infine come testo da studiare nelle scuole.
“Figli di Abramo“ è il frutto della traduzione italiana dell’opera di Tindberg (realizzata da Gianluca Iumiento, che firma anche la regia) su cui Stefano Sabelli ha innestato l’esperienza del suo viaggio a Gerusalemme. Un gioco di specchi o di cerchi concentrici che legano a doppio filo la Città Santa e il mestiere dell’attore, sospesi entrambi sulla storia dell’umanità.
Un interesse autentico, quello di Sabelli per il Medio Oriente e per lo studio delle civiltà, testimoniato dal suo “Le Vie dei Buddha“, spettacolo costruito attorno al diario di un viaggio compiuto in Afghanistan nel 2001, a guerra ancora in corso, quando i talebani mostrarono al mondo la cifra del loro integralismo con l’abbattimento delle maestose, millenarie statue che si stagliavano nella Valle di Bamiyan.
Parimenti autentico è il legame di Sabelli con la musica: il primo ingrediente sensoriale di “Figli di Abramo” è dato dal suono di una fisarmonica che non lascerà mai la scena. E’ un tassello rivelatore della quota con cui Sabelli decide di far suo il testo originale, di portarlo verso le sue corde più personali e di intrecciarlo con i suoi propri ricordi. Ed infatti, il racconto di un viaggio esotico, dello stupore di un visitatore occidentale davanti alla sorgente unitaria delle grandi religioni, si mescola da subito con un passo cabarettistico fatto di dialetti italici e giuochi linguistici. Ciclicamente, il narratore si sdoppia, dando vita a dialoghi tra l’io narrante ed una sedicente, decisamente irrituale guida turistica di lingua araba, capace tuttavia di farsi intendere in un italiano molto personale.
In questo modo, Sabelli supera il confine del teatro di narrazione per approdare – nuovamente un approdo – nel territorio ampio del teatro d’attore, riempiendo costantemente lo spazio scenico con generosa energia. Le illustrazioni realizzate da Kezia Terracciano e proiettate sul fondale completano il quadro di un lavoro che persegue, più e prima del risultato artistico, la testimonianza di un messaggio di pace assolutamente urgente.
Paolo Verlengia
CREDITS:“Figli di Abramo” un patriarca, due figli, tre fedi e un attore
di Svein Tindberg (prima versione italiana)
adattamento e interpretazione Stefano Sabelli
musiche dal vivo Giuseppe Moffa
proiezioni e immagini Kezia Terracciano
traduzione e regia Gianluca Iumiento
Teatri Molisani (Ferrazzano-Campobasso)
Florian Metateatro, Stagione 2023-24, Rassegna “Teatro d’Autore e altri Linguaggi”