Stroncato dalla critica che lo definì “un frivolo racconto delle vicende dell’alta società moscovita”, per Fëdor Dostoevskij il romanzo Anna Karenina “è la perfezione e niente della letteratura europea della nostra epoca può esserle paragonato”. Un secolo dopo anche Vladimir Nabòkov lo definì “il capolavoro assoluto della letteratura del XIX secolo”. Tuttavia Tolstoj successivamente lo rinnegherà.
Sposata all’ufficiale governativo Karenin che le ripugna, Anna si reca a Mosca dal fratello Stiva per convincere la di lui moglie Dolly a non lasciarlo dopo l’ennesimo tradimento. Qui avviene l’incontro fatale col conte Aleksej Vronskij. La vicenda si intreccia a quella di Lèvin che si reca a Mosca per chiedere la mano di Kitty, sorella di Dolly, che lo respinge perché innamorata di Vronskij.
Sopraffatta dalla passione, Anna abbandona il marito e il figlio e si lega al conte in una relazione disapprovata dalla società dell’epoca, dalla quale nascerà una bambina. “Se ci sono tanti ingegni quante teste, ci sono tanti generi d’amore quanti cuori” sostiene con convinzione.
Mentre Karenin minaccia la moglie di impedirle di vedere il figlio e l’aristocrazia pietroburghese la emargina, Anna si convince di non essere più amata dal conte e compie il gesto estremo: “La felicità non discende dal soddisfacimento dei desideri”. Allo sgretolamento di questo amore, si contrappone la costruzione del rapporto tra la pragmatica Ketty e Lèvin che nell’amore puro e nella semplicità del mondo rurale cerca risposte ai suoi dubbi.
Pubblicato nel 1877, il romanzo è uno spaccato sull’alta società russa ottocentesca attraverso la ribellione di Anna a vivere ipocritamente un matrimonio infelice. Alla proposta del marito di salvare le apparenze e vivere il suo amore con discrezione, la donna rifiuta, vuole viverlo alla luce del sole, facendo una scelta anticonvenzionale. Questa scelta non la renderà felice, la conformista Pietroburgo la respingerà e sotto un treno troverà requie al tormento, chiudendo il cerchio iniziato dall’incontro alla stazione con Vronskij mentre si verificava un tragico incidente sui binari.
L’adattamento di Gianni Garrera e Luca De Fusco mantiene l’impronta del testo letterario facendo recitare ai personaggi oltre ai dialoghi in prima persona, anche i passaggi descrittivi e le considerazioni dell’autore in terza persona.
La regia di Luca De Fusco crea una messinscena che ricorre a numerose contaminazioni di video proiezioni (di Alessandro Papa) sul velatino antistante la scena su cui scorrono le scene topiche in bianco e nero del ballo mondano e dell’esplodere della passione fra Anna e il conte. Questa scelta, che sottrae i momenti più icastici della parabola umana e sentimentale di Anna alla centralità realistica della rappresentazione teatrale, rende un po’ sbilanciata e precipitosa l’evoluzione degli avvenimenti successivi cui è concesso, invece, ampio spazio fino al drammatico epilogo.
Galatea Ranzi è misurata e composta, esplodendo drammaturgicamente nella potenza espressiva dell’invettiva finale. Anche Giacinto Palmarini risente della non lineare progressione evolutiva dei sentimenti di Vronskij. Paolo Serra è il dolente e umano Karenin, Stefano Santospago è l’ironico Oblonskij, Debora Bernardi è la fedele Dolly, Francesco Biscione è il dubbioso Lèvin, Mersila Sokoli è la tenera e un po’ ingenua Kitty, Irene Tetto interpreta la vivace Lidjia, Giovanna Mangiù è Betsy
La scenografia di Marta Crisolini Malatesta, che ha creato anche i costumi, ripartisce il fondale su due livelli dai quali si affacciano i protagonisti, ponendo sul palcoscenico vuoto un solo divano rosso. Nella penombra costante (luci di Gigi Saccomandi), un fascio luminoso mette a fuoco i singoli personaggi posizionati nella geometria variabile della scenografia. Le musiche di Ran Bagno e le coreografie di Alessandra Panzavolta contribuiscono a rendere di forte impatto visivo tutta la messinscena.
Scrive De Fusco nelle note di regia: “Insieme col drammaturgo Gianni Garrera, abbiamo deciso di non nascondere l’origine letteraria del testo ma anzi valorizzarla. Al di là dei dialoghi le parti più strettamente narrative o i commenti di Tolstoj saranno attribuiti agli stessi attori che interpretano i ruoli. I pensieri dei personaggi saranno invece detti dai personaggi stessi, seguendo la lezione del Ronconi del ‘pasticciaccio’ e configurando degli ‘a parte’ tipici del linguaggio teatrale. A queste tecniche puramente teatrali ho aggiunto un montaggio veloce, cinematografico, composto di molte brevi scene e contrassegnato dalla grammatica visivo-musicale, ormai consueta nelle mie regie”.
Tania Turnaturi