L’inaugurazione della stagione 2023/2024 del Teatro dell’Opera di Roma passa attraverso la tentazione e il patto con il diavolo, cuore del Mefistofele di Arrigo Boito in un nuovo, provocante e moderno allestimento firmato da Michele Mariotti sul podio e il debutto italiano di Simon Stone alla regia.
Un’inaugurazione che ha riportato il Mefistofele di Boito all’Opera dopo tanti anni (ultima rappresentazione nel 2010) restituendo a un titolo che poteva apparire un po’ appannato, una degna visibilità.
Di certo l’inaugurazione della stagione 2023/2024 del Costanzi è stata divisiva: unanimemente trionfale, applauditissima la direzione musicale del Maestro Mariotti, direttore musicale del Teatro alla sua seconda inaugurazione dopo il difficile Poulenc dello scorso anno, in parte contestata la regia.
Mariotti, sempre bravissimo alla guida dell’Orchestra del Teatro dell’Opera, è sempre ben coadiuvato anche dall’ottimo Coro diretto da Ciro Visco, soprattutto nel prologo e nell’epilogo: conquista il pubblico con i suoni forti e potenti, asseconda le voci, crea i giusti colori e le sfumature in una partitura già di per sé ricchissima.
L’allestimento, primo sconfinamento di stagione realizzato in collaborazione con il Teatro Real di Madrid, con il debutto italiano alla regia d’opera dell’enfant terrible del teatro australiano Simon Stone, non convince del tutto.
“La chiave di comprensione del Mefistofele è temporale e profondamente cristiana. Italianissima nel suo cristianesimo. Descrivendo il bene e il male, Mefistofele dci parla di sconfinamenti tra i contrari” questo il commento di Stone, che fra cinema e teatro, debutta al Costanzi con un allestimento di carattere atemporale per raccontare un viaggio soprannaturale che racconta della sfida di Mefistofele a Dio nel tentare il vecchio Faust, uomo avido di conoscenza, ottenendo la sua anima in cambio di una seconda giovinezza e della sapienza.
Per Stone la storia di Faust diventa contemporanea poiché arrivismo, sovraesposizione e successo ben aderiscono anche ai tempi nostri, e Stone si prende non poche libertà: il Frate Grigio che si svela essere Mefistofele (che appare in scena d’argento vestito per svelarsi a Faust in completo di velluto bordeaux) diventa un clown, tutto si svolge in un luogo generalmente bianco e abbagliante (scene asettiche e costumi moderni di Mel Page, luci di James Farncombe), passando dalle schiere angeliche con tanto di scala a chiocciola alle atmosfere pseudo circensi e contadine delle celebrazioni della Pasqua, dallo studio di Faust con radiografie di animali che richiamano lo studio e la sapienza, fino al giardino che diventa una piscina con palline colorate, fino alla tentazione che passa attraverso due escort.
Il sabba (piuttosto disturbante con tanto sacrificio di maiale in scena) schiera gli adepti di bianco vestiti su un’ampia gradinata, per passare al sabba classico dell’antica Grecia con colonne, fino all’accecante e nostalgico ospizio con gli ospiti in sedia a rotelle, opta per un taglio cinematografico nell’intenso flashback che racconta in uno schermo la notte d’amore di Margherita con Faust e l’arresto della donna. L’idea di Stone (con numerosi cambi di scena) è di adattare la storia di Faust, fra peccato e purezza, agli archetipi della nostra società, ma nel complesso la regia appare molto essenziale, ma piuttosto statica con le masse schierate intorno ai personaggi principali.
Nel secondo cast (il primo composto da John Relyea/Mefistofele, Joshua Guerrero/Faust, Maria Agresta Margherita/Elena), Jerzy Butryn è un Mefistofele sfacciato e villano dal timbro potente cui si allinea un Anthony Ciaramitaro, convincente Faust soprattutto nei duetti passionali, intensamente espressiva nella vocalità e nell’interpretazione è Valeria Sepe nel doppio ruolo di Margherita/Elena. Al Mefistofele/postumano è anche dedicato il nuovo numero di Calibano, rivista d’attualità culturale dell’Opera, che si interroga sul postumano legando il tema centrale del Faust, della trascendenza della finitudine umana che oggi può essere rintracciabile in forme e ambiti diversi.
Fabiana Raponi