Dal Dizionario Biografico degli Italiani della
Enciclopedia Treccani – Volume 95 (2019)
Giancarlo Landini
TIBERINI, Mariano, in arte Mario. – Nacque a San Lorenzo in
Campo, a sud di Pesaro e Urbino, l’8 settembre 1826, in una
famiglia di onorevoli condizioni, secondo di tre figli di Gaetano e di
Marianna Pezza.
Il fratello Giovanni era nato nel 1824, Giovanna, la sorella, nacque
nel 1828 e morì due anni dopo. Studiò nel collegio convitto di
Pergola; ventenne si recò a Roma per diventare sacerdote. La
collaborazione con un giornale politico gli costò il controllo della
polizia e poi il carcere. Nel 1848, in un momento cruciale per Roma
e l’Italia, decise di darsi al canto, studiando prima con Domenico
Lucilla, maestro di canto, e poi perfezionandosi a Napoli con
Emanuele de Roxas, compositore e direttore d’orchestra di bella
fama. Debuttò nell’ottobre del 1851 al teatro Argentina di Roma,
nella Semiramide di Gioachino Rossini (Idreno). Nell’autunno-
inverno del 1852-53 al Carolino di Palermo fu il tenore principale
nella Beatrice di Tenda di Vincenzo Bellini e nel Don Pasquale di
Gaetano Donizetti, Macduff nel Macbeth di Giuseppe Verdi e Gondì
nella Maria di Rohan di Donizetti. Nel teatro Nuovo di Napoli si esibì
nella ‘prima’ di Ser Babbeo di Giuseppe Lillo (maggio del 1853).
Dall’ottobre del 1854 ai primi del 1856 si esibì in America Centrale,
a San Juan de Puerto Rico, Kingston, Hispaniola, Port-au-Prince e
soprattutto al Gran teatro Tacón dell’Avana e in altre città cubane,
in una compagnia di giro che comprendeva Luisa (Eloisa) Caranti e
Luigi Corradi Setti, debuttando in Lucia di Lammermoor, I
puritani, I due Foscari, Il trovatore, Rigoletto, La traviata, Il
barbiere di Siviglia, Poliuto, Maria di Rohan (come
Chalais), Norma, Lucrezia Borgia. Fu acclamato, prevalendo il
cantante sull’artista teatrale, con un gusto esibito per il virtuosismo.
Nel 1856 passò negli Stati Uniti. Cantò Lucia di Lammermoor alla
Academy of music di New York.
Per attirare l’attenzione del pubblico sul giovane tenore l’allora
impresario, Bernard Ullman, orchestrò una campagna stampa
sensazionale: Tiberini, discendente dell’imperatore Tiberio, di
famiglia nobile, si sarebbe esibito sotto falso nome; scoperto dai
fratelli, era stato costretto a fuggire e aveva optato per l’arte a
dispetto dei parenti; abbandonato dalla fidanzata, ora trovava
consolazione nell’affetto del pubblico straniero (cfr. Guerra, 2005,
pp. 32 s.).
Entrò poi nella compagnia di Teresa Parodi, amministrata dal
moravo Maurice Strakosch, figura chiave nell’organizzazione della
vita musicale nordamericana. Tenne una serie di concerti a
Philadelphia, Washington, Baltimora, Boston, New York City,
Rochester, Buffalo, Toronto, Chicago, Saint Louis, Bloomington,
Indianapolis, Cincinnati, Louisville, Detroit, Providence, Milwaukee,
Albany, Hartford e Cleveland. Da gennaio del 1857 a maggio del
1858 si esibì di nuovo alla Academy of music, aggiungendo al
proprio repertorio La favorita, Ernani, La sonnambula, La figlia del
reggimento, Don Giovanni (Don Ottavio), Gli Ugonotti, Otello di
Rossini (Rodrigo); ma nella seconda metà del 1857 fu al San Felipe
di Caracas, dove debuttò nell’Attila, mentre chiuse la carriera
americana al Burton’s Theatre di New York, dove aggiunse ai suoi
personaggi Nemorino (L’elisir d’amore) e Carlo (Linda di
Chamounix).
Nell’estate del 1858 rientrò in Europa; a San Lorenzo in Campo
tenne un concerto. Acclamato, dotato di una discreta fortuna, avviò
una carriera europea, scritturato dal Liceu di Barcellona, dove dal
settembre del 1858 al maggio del 1859 cantò i titoli del suo
repertorio, spesso in coppia con Angiola (Angelina) Ortolani
Valandris (Walandris; Bergamo, 10 maggio 1834-Livorno, 31
dicembre 1913), valente soprano ch’egli sposò nel capoluogo
catalano il 14 aprile 1859 nella parrocchia di S. Jaime, abitando in
casa di lei nella Rambla del Centro. Da allora i coniugi formarono
una coppia artistica inseparabile, e il tenore ormai famoso
comparve, salvo rare eccezioni, sempre al fianco della consorte,
che, pur non possedendo le spiccate doti artistico-vocali del marito,
si confermò cantante di alto livello. Dal matrimonio nacquero Arturo
Michele Vittorio (Torino 1860-Milano 1909; ufficiale nella Marina
militare), Gaetano Mario Giovacchino (Livorno 1872-1923; visse
con la madre nella Villa dell’Ardenza), Vittorio Corradino Paolo
(Livorno 1875-La Spezia 1895; iniziò la carriera nella Marina
militare, ma morì di scarlattina).
Al Liceu, Tiberini debuttò nell’Ebrea di Halévy e nella ‘prima’ locale
della Matilde di Shabran di Rossini: l’impervia parte di Corradino
divenne poi uno dei suoi cavalli di battaglia. Nell’agosto del 1859 i
Tiberini rientrarono in Italia e dopo alcuni concerti e spettacoli nella
città della Ortolani, Bergamo, presero dimora a Livorno, in una villa
alla Rotonda d’Ardenza, conducendo una vita signorile e amando
riunire nel loro salotto intellettuali, artisti e la buona società
labronica. In ottobre i coniugi si presentarono alla Scala proprio
in Matilde, seguita dalla ‘prima’ assoluta del Riccardo III di
Giambattista Meiners e il debutto del tenore nell’Assedio di Corinto.
Nel gennaio-febbraio del 1860, con Angiolina in attesa del primo
figlio, i due furono al Regio di Torino, dove Tiberini debuttò nella
parte di Arnoldo del Guglielmo Tell; in aprile, un mese e mezzo
dopo il parto, al Regio di Parma, al Grande di Trieste, dove per la
prima volta il tenore affrontò La donna del lago (Giacomo V)
e Parisina d’Este di Donizetti. Il 26 dicembre Tiberini aprì la
stagione di Carnevale della Scala debuttando nel Mosè (Amenofi), e
di seguito vi cantò La favorita, Lucia di Lammermoor, la ‘prima’
assoluta dell’Espiazione di Achille Peri, Il barbiere di Siviglia, I
Capuleti e i Montecchi (Tebaldo). Da aprile ad agosto del 1861 fu al
Covent Garden di Londra, riscuotendo successo come cantante e
come attore, a riprova di una raggiunta maturità; in autunno fu a
Berlino. Nel 1862 al San Carlo di Napoli debuttò in Un ballo in
maschera e varò il Don Carlos infante di Spagna di Vincenzo
Moscuzza, del quale l’anno dopo tenne a battesimo alla Pergola di
Firenze Piccarda Donati. Nel giugno dello stesso anno all’Argentina
di Roma fu il protagonista nella ‘prima’ assoluta di Iginia d’Asti di
Filippo Sangiorgi. Nel febbraio del 1863 al San Carlo debuttò
nel Roberto il Diavolo; in primavera, alla Pergola di Firenze si
cimentò con Faust di Charles-François Gounod; in settembre al
Rossini di Lugo di Romagna fu il protagonista dell’Alessandro
Stradella di Giuseppe Sinico. Nel gennaio del 1864 all’Apollo di
Roma fu protagonista nel Don Alvaro, ossia la versione
pietroburghese della Forza del destino di Verdi; in primavera alla
Pergola creò I Batavi di (Louise-Pauline?) Tarbé des Sablons. Nel
1865 al Carlo Felice di Genova tenne a battesimo Amleto di Francio
Faccio e al Grande di Trieste Romeo e Giulietta di Filippo Marchetti.
Negli anni seguenti, entro un’attività italiana sempre intensa,
debuttò in Caterina Howard di Errico Petrella all’Apollo di Roma
(Carnevale 1866), in Don Diego de’ Mendoza di Giovanni Pacini alla
Fenice di Venezia (Carnevale 1867) e soprattutto nella versione
definitiva della Forza del destino, alla Scala il 27 febbraio 1869:
Verdi espresse giudizi lusinghieri su di lui e su Teresa Stolz
(Leonora), definiti «sublimi» e «superbi» nelle lettere inviate nei
giorni seguenti a Luigi Piroli, a Opprandino Arrivabene e all’editore
francese Escudier. Nella stessa stagione, il 3 aprile, creò il
protagonista di Ruy Blas, l’opera di Marchetti (da Victor Hugo) che
fu poi tra i titoli più graditi di fine secolo. Vi cantò però soltanto alla
‘prima’, affaticato dal tour de force degli impegni. In marzo cantò
alla Pergola nel Conte Ory; e fatta la stagione d’inverno e primavera
1870 al San Carlo, il 26 dicembre aprì la Scala nella parte di Vasco
di Gama nell’Africana di Jacob Meyerbeer, a riprova di un repertorio
invero eclettico per stile e vocalità. Nel marzo-aprile del 1868 i
coniugi Tiberini erano comparsi agli Italiens di Parigi
nell’amatissima Matilde di Shabran, nei Puritani e nella ‘prima’
assoluta della Contessina di Giuseppe Poniatowski; da lì passarono
al Real di Madrid, dove tornarono nel 1871 debuttando
nella Marina di Emilio Arrieta, titolo amatissimo in Spagna. Gli
ultimi anni di carriera della coppia si svolsero nei teatri iberici, a
Madrid, Cadice, Siviglia, Valencia, nonché al São Carlos di Lisbona
con Dinorah. Nel 1874 tornarono in Italia per gli ultimi debutti,
nella Jone di Petrella al Malibran di Venezia e nel Luigi Rolla di
Federico Ricci alla Pergola nel 1876.
Tiberini morì a Reggio nell’Emilia il 16 maggio 1880, in seguito a
un’operazione odontoiatrica. Pochi mesi prima era stato ricoverato
nell’istituto psichiatrico S. Lazzaro di Reggio in preda a uno stato di
prostrazione fisico-mentale in seguito ai rovesci finanziari patiti per
investimenti azzardati. Venne sepolto nel cimitero Monumentale di
Milano, dove fu poi tumulata anche la consorte, con la quale aveva
condiviso vita e carriera.
Nel 1881 il teatro di San Lorenzo in Campo fu intitolato a Tiberini.
Nel 1989, per interessamento di Giosetta Guerra, è stato istituito il
Premio lirico internazionale Mario Tiberini, che viene conferito a
cantanti lirici di spicco.
Tiberini non possedette una voce baciata dalla natura, ma grazie
alla tecnica eccellente la trasformò in un magnifico strumento. Poté
così affrontare le tessiture acute tipiche delle parti per tenore
contraltino. Abilissimo nel canto di agilità, forte di una fluida
vocalizzazione, affrontò vari titoli rossiniani e nella parte di
Corradino, una delle più ardue in assoluto, assicurò la fama di
un’opera già allora negletta come Matilde di Shabran. Fu uno
stupendo tenore di grazia, interprete felice, ammirato e applaudito
in Bellini e Donizetti. Si fece apprezzare nel grand opéra: risolveva
il personaggio di Raoul negli Ugonotti evitando i turgori dei tenori
stentorei. L’arte del fraseggio, il vivo senso della parola, l’indole
dell’artista creatore gli permisero di cimentarsi con successo con il
melodramma verdiano, realizzando parti complesse come il
Riccardo di Un ballo in maschera e l’Alvaro della Forza del destino.
Non a caso Aureliano Pertile, raccogliendo le testimonianze dei suoi
maestri, lo additava a esempio di interprete appassionato. Nel suo
canto Tiberini univa declamazione e melodia, slancio e dolcezza;
indulgeva nondimeno al lavoro di cesello, cedendo al gusto per i
filati e le messe di voce, con atteggiamenti tipici dell’antica scuola.
L’attore aveva credibile gioco scenico, arricchito dagli splendidi
costumi da lui collezionati, che indossava con fiero portamento. Si
fatica tuttavia a comprendere come potessero coesistere nel
repertorio di un solo cantante opere tanto diverse per stile e
vocalità. Tiberini va dunque considerato un perfetto esempio di quel
tipo di artista del secondo Ottocento che, formatosi sul belcanto di
Rossini, si era poi saputo adattare con talento a stili di canto più
incisivi e roventi. Questo genere di tenore, capace di dolcezze
infinite e di sfumature a fior di labbro, era destinato a estinguersi
alla fine del secolo e ai primi del Novecento, avendo per epigoni
tenori del calibro di Roberto Stagno, Francesco Marconi, Fernando
De Lucia e Alessandro Bonci. Al di là di ogni nostalgico rimpianto,
l’arte delle sfumature, di cui Tiberini era maestro, ci permette di
capire perché mai Verdi abbia disseminato le sue partiture di così
frequenti inviti alla dolcezza e al pianissimo; sapeva che avrebbero
potuto trovare realizzazione nell’arte dei maggiori cantanti del suo
tempo, come Tiberini.
Fonti e Bibl.: F. Regli, Dizionario biografico dei più celebri poeti ed
artisti melodrammatici, Torino 1860, pp. 367, 533 s.; G.
Ricordi, Bozzetti artistici. Artisti di canto. Teatro alla Scala, Mario
Tiberini, in Gazzetta musicale di Milano, 18 aprile 1869; R.
Tomasi, Mario Tiberini, alla memoria, San Lorenzo in Campo 1882;
C. Schmidl, Dizionario universale dei Musicisti, II, Milano 1938, p.
597; R. Celletti, Voce di tenore, Milano 1989, pp. 147 s.; V.B.
Lawrence, Strong on music. The New York music scene in the days
of George Templeton Strong, II, Chicago 1995, pp. 694 s., 716,
744, III, 1999, ad ind.; C. Springer, Verdi und die Interpreten
seiner Zeit, Wien 2000, pp. 298 s.; G. Landini, Da Angelica Catalani
ai Graziani e a T., in Quei monti azzurri. Le Marche di Giacomo
Leopardi, a cura di E. Carini – P. Magnarelli – S. Sconocchia, Venezia
2002, ad ind.; G. Guerra, Mario Tiberini tenore (1826-1880),
San Lorenzo in Campo 2005; P. Molini – P. Peretti, Cantanti
verdiani marchigiani dell’800, Fermo 2017, pp. 115-120.
Giancarlo Landini