Uno spettacolo sold out e fuori dal comune nella rappresentazione di quello che a noi piace definire come quel tipo di “giornalismo dal volto umano” che in Italia si vede poco o per nulla. “Che ci faccio io qui, in scena” di Domenico Iannacone è stato questo ed altro nel caratteristico teatro del Grillo di Soverato (Catanzaro) – di cui è direttore artistico Claudio Rombolà – che lo stesso Iannacone definisce a fine rappresentazione un autentico gioiellino. Ebbene, quella che è stata la trasposizione teatrale dello spaccato di vita vissuto nell’esercizio della propria professione da parte di un giornalista d’inchiesta, alla fine, è piaciuto, ha tenuto col fiato sospeso ed in silenzio gli spettatori sino al termine, ha soprattutto emozionato, e non poco!
Iannacone nel suo monologo sul palcoscenico – coadiuvato dal giovane maestro Francesco Santalucia – ha fatto capire come il giornalismo non debba essere inteso come una sorta di “cannibalismo” che tutto prende senza nulla dare.
Iannacone svolge questo “mestiere” non soltanto come denuncia di “casi umani” o “situazioni anomale” incarnando il giornalista nel vero senso della parola, ma, contestualmente, si prodiga – ecco la novità del personaggio – come uomo prima e come professionista dopo ad individuare anche una qualche soluzione concreta alle problematiche sia pure complesse delle storie che si ritrova difronte.
E’ uomo che si mobilita in prima persona dando forza e consistenza agli “ultimi” affinché anche con il suo aiuto ritrovino la strada smarrita ed il senso di un’esistenza che rischia d’andare letteralmente a rotoli senza una pur minima possibilità di ripresa. Ecco l’umanità di Iannaccone, così intensa, coì autentica!
Iannacone fa comprendere come nel giornalismo le parole contino più di ogni cosa, è evidente! Esse sono in grado di far male, ma pure d’aiutare chi sta male o chi vive male una condizione non affatto semplice. E’ c’è pure lo Iannacone bambino e quello adolescente che s’incaponisce nel comprendere fino all’inverosimile il significato intimo e, talvolta enigmatico, di quelle stesse parole.
Ecco come con voce flebile sul palco, Iannacone racconta e si racconta dunque. Racconta le storie di Michele, giovane padre di due figlie che pur avendo un’occupazione si ritrova, suo malgrado, col dormire all’interno della sua autovettura durante la notte pur di poter assolvere al proprio ruolo, con dignità, senza chiedere niente a nessuno e che Iannacone ha voluto sostenere.
Ed ancora senza soluzione di continuità le storie dell’anziano artista Fausto Delle Chiaie che a Roma da oltre 30 anni espone le sue opere sul marciapiede davanti l’Ara Pacis in quello che può definirsi come un museo a cielo aperto. Opere che riesce anche a vendere, ma che vive in un tugurio da solo con mezzi di fortuna ed espedienti continui. Ebbene, Iannacone cercherà assieme ad altre persone di fare in modo che Delle Chiaie possa potersi avvalere della legge Bacchelli che consente ad artisti in difficoltà di poter godere di una qualche sussistenza da parte dello Stato.
O di Bartolo Mercuri di Maropati in provincia di Reggio Calabria che tutti chiaman “papà Africa” e che i poveri diseredati di colore hanno individuato in lui il loro benefattore e protettore; Mercuri che, instancabile, lavora ogni giorno nel gestire l’associazione “il cenacolo” rifornendo di cibo e vestiti i lavoratori nei campi della piana di Gioia Tauro. Anche in quest’ultimo caso Iannacone non s’è tirato mica indietro, anzi!!
Iannacone dunque interprete di un nuovo modo di fare giornalismo forse meno sensazionalista ma più umano! Quell’umanità che diventa rivoluzionaria! Perché cerca di salvaguardare il buono che c’è in ognuno di noi e che deve poter emergere, in qualche modo, giacché è l’unico modo che ancora ci resta se abbiamo ancora a cuore le sorti di questo mondo!