Il Teatro Argentina di Roma apre il palcoscenico all’ultima attesissima creazione della compagnia belga di teatro-danza Peeping Tom, famosa in tutto il mondo per i suoi spettacoli provocatori e raffinati.
Il titolo “S 62° 58’, W 60° 39’” indica le coordinate geografiche di Deception Island, un punto nel deserto antartico in cui è rimasta incagliata una barca a vela con sette persone a bordo che lottano per sopravvivere in condizioni estreme, in attesa che il ghiaccio si sciolga per continuare il loro viaggio.
Cosa è successo? Sono stati sorpresi da un evento atmosferico? Hanno forse perduto la rotta?
Prima di trovare la risposta a queste domande occorre riprendere fiato di fronte all’impatto visivo della maestosa scenografia di Justine Bougerol, creata come un’opera d’arte nel riprodurre un’atmosfera notturna surreale, in cui la luce bianca della luna illumina l’imbarcazione circondata dalla nebbia.
La scenografia e l’illuminazione si combinano come per inquadrare l’azione sul palco come su un grande schermo. Ci sono fermo immagine e avanzamento veloce nei movimenti di un uomo dell’equipaggio (Chey Jurado) che lancia il Mayday. Perfino il suono ha una qualità ipnotica che sembra riprodurre la potenza del suono surround cinematografico.
Ed ecco un altro (Romeu Ruma) che interrompe sulla scena lamentandosi dell’eccessivo vento: “Basta con questo vento! E’ pericoloso, non è più artistico!”. Interviene la voce fuori campo del regista e co-ideatore dello spettacolo, Franck Chartier, e la scena si trasforma in una prova aperta in cui gli attori portano avanti la finzione dialogando a più riprese con il regista, anche sfidandolo in alcuni momenti, come su un set cinematografico.
Franck, dal canto suo, interagisce con i suoi artisti, invita gli interpreti a rientrare nella parte, ascolta i loro tormenti e le loro fragilità, disposto perfino a orientare lo svolgimento della trama, anche infrangendo il copione, per assecondare il loro stato d’animo.
La voce di Franck avverte che quello che si svolge davanti a noi “è la rappresentazione della direzione sbagliata che può prendere la vita”. La rotta smarrita, quel tempo sospeso e la monotonia a bordo si traducono in un affascinante scavo esistenziale.
Emerge un affresco sulfureo, in cui, in un’alternanza di tagliente ironia e commozione, tenerezza e cruda sincerità, ogni personaggio affronta svariati temi intimi e personali, come l’abbandono dell’infanzia, la solitudine, l’amore “vero” e l’amore violento, il difficile rapporto tra finzione e realtà, ma anche riflessioni, espresse con umorismo pungente e autoironia, sulla manipolazione della biodiversità e dell’ambiente da parte dell’uomo.
E’ opportuno qui soffermarsi sulla magistrale performance degli artisti citando, in particolare, il monologo di Mimi-Marie sulla vittimizzazione delle donne che subiscono violenza e su quanto si finisca per abusare del loro dolore; il monologo di Yi-Chun Liu sulla ricerca dell’amore e sulla solitudine e, infine, quello forse più atteso e celebrato per la spettacolarità, il monologo di Romeu. Siamo di fronte all’artista-essere umano, messo a nudo per concedersi senza moralismi con il suo corpo, la sua anima e la sua intimità perché il teatro “è una resa delle emozioni”. I metodi di Peeping Tom, dichiara Chartier in un’intervista, richiedono di “dare molto di sé stessi”. Ma si affretta a riconoscere che “dobbiamo proteggere la fragilità dell’artista per permettergli di dare qualcosa di veramente personale e non sentirsi giudicato”.
Romeu supera ogni scetticismo per aprirsi con fiducia al pubblico arrivando a chiedere l’intervento di uno spettatore per l’uscita di scena, in un messaggio finale di superamento di ogni individualismo, dove il compito del teatro consista anche nella volontà di uscire dal circolo vizioso del dubbio disgregante per risvegliarsi al mondo, contaminarsi con la complessità della realtà, operare per la ricerca del vero, poiché “abbiamo bisogno di essere veri” in uno sforzo finale di sguardo propositivo in avanti nonostante tutto.
Roberta Daniele