Avvenimenti crudeli e tragici hanno trasformato vite normali in esistenze consegnate alla Storia e degne di essere raccontate, a testimonianza e monito.
Una di queste vite speciali è la vicenda di Susanna Silberstein Trevisani, in scena nella settimana del dialogo interreligioso al Teatro Le Salette gremito di suore di varie congregazioni religiose, che hanno goduto di una serata in cui immedesimarsi in un’esperienza coinvolgente.
Sulle note del violino di Haim Fabrizio Cipriani, la donna seduta su una poltroncina inizia a rievocare la propria vita tutta popolata di donne e il proprio funerale nel 2020 a Roma, durante il primo lockdown causato dalla pandemia. Funerale al quale non era presente nessuno per le rigide misure restrittive di circolazione, così come settantasette anni prima non avevano potuto avere un funerale i suoi genitori, sua sorella Elena e suo fratello Riccardo, i nonni e gli zii deportati e morti nell’Olocausto.
Nel disperato tentativo di metterla in salvo, la mamma Edith consegna la piccolissima Susanna a un convento di Firenze, dove cresce accudita dalle suore francescane. Le due che più assiduamente se ne prendono cura vengono identificate dalla bambina con le figure parentali di riferimento e soprannominate Suora Mamma e Suora Babbo. Tali appellativi suscitavano perplessità e imbarazzo quando venivano rivolti alle suore davanti a terze persone e, a tal proposito, Susanna racconta buffi aneddoti.
Tre anni dopo la piccola viene accolta e adottata da Libera Trevisani (vedova del matematico Tullio Levi Civita), supportata dall’amica Marcella Treves, la “zia”, rappresentante della Delasem di Firenze, l’associazione ebraica che si è occupata delle adozioni dei bambini sopravvissuti all’eccidio nazi-fascista.
Susanna sposerà Pier Vittorio Ceccherini e solo dopo la nascita dei loro due figli Tullio e Francesca, sostenuta da tutta la famiglia e con un adeguato supporto psicologico, inizierà il doloroso percorso a ritroso che farà emergere le esperienze rimosse e la condurrà a conoscere le origini familiari e le drammatiche scelte degli angosciati genitori.
“Io ho avuto solo donne che mi hanno difeso, donato affetto, letizia, supportato, cullato, amato, gioito: Libera… Edith… Marcella… Elena… Lea… Cornelia… Leonida… Madre Superiora… Suora Babbo… Suora Mamma… Angelica… Francesca”.
La drammaturgia e la regia di Francesco Suriano rendono poliedrica la protagonista che, alzandosi, o ponendosi un fazzoletto nero in testa, o mimando di cullare in braccio un bambino, assume di volta in volta il ruolo delle suore, della madre o della figlia, frazionando il monologo in una sorta di evocativo dialogo in flashback con i drammatici momenti della deportazione, che si interseca con le voci off delle immagini proiettate sul fondo e con gli interventi vocali del violinista, alzando la cortina che separa il presente dal nefasto passato.
Arianna Ninchi, figlia e nipote di una gloriosa famiglia di attori, ha la ieratica postura e la trasfigurata bellezza dell’Annunciata di Antonello da Messina, accompagnata dal medesimo gioco delle mani che chiudono il fazzoletto sotto il mento o evocano lontane reminiscenze. Sul nero della gonna e del foulard spicca il candore del golf che le illumina il viso, rendendola di una bellezza altera e misteriosa, che esprime nel corpo e nello sguardo il pathos interpretativo di una donna eroina suo malgrado, testimone superstite di un orrore collettivo di cui dobbiamo conservare memoria.
Francesco Suriano imprime la sua cifra stilistica alla messinscena, corredandola di brevi filmati con materiale di repertorio e le voci off di Ottilia Anselmi, Giordana Tagliacozzo, Lucilla Franchetti, Giacomo Ceccherini Silberstein e Tommaso Ceccherini Silberstein. Il violinista è Haim Fabrizio Cipriani, rabbino, direttore dell’ensemble Il Falcone, membro de Il Giardino Armonico. Video ideati appositamente da Francesco Cordio e Francesco Di Trapani, oggetti di scena e immagini digitali di Rosalba Balsamo. Consulenza storica di Francesca Ceccherini Silberstein, Miriam Lea Reuveni, Pier Vittorio Ceccherini, Raffaella Di Castro, Beatrice Pizzichetti.
Scrive il regista: Il titolo Suora Mamma e Suora Babbo in qualche modo evoca anche la frase di Papa Francesco: “La consacrata è madre, deve essere madre e non zitella”. Quando Susanna Silberstein andò per la prima volta in Israele, a Gerusalemme nello Yad Vashem lesse una frase che divenne per lei un insegnamento: “Non sarai morto invano se i figli dei tuoi figli si ricorderanno di te”.
Tania Turnaturi