Speaking Cables di Agnese Banti
Uno specchio sonoro pulsionale generatore di piacere
É stata una felice intuizione di Damiano Pellegrino di Altre Velocità, quella di inserire Agnese Banti tra i Novissimi in un articolo pubblicato sulla rivista di critica e cultura teatrale “La Falena”. Agnese Banti ha studiato a Bologna, è artista sonora, musicista e overtone singer. Protagonista con i suoi lavori in molte residenze artistiche, lo è ancora una volta con Speaking Cables in scena al FOG Performing Arts Festival 2024 alla Triennale di Milano.
Sarà capitato a tutti di riascoltare la propria voce registrata. L’esperienza può avere effetti conturbanti, perturbanti o addirittura portare a una sensazione di distacco e estraneità da noi stessi, in cui non è possibile riconoscersi nel proprio “doppio vocale”. Cosa potrebbe accadere invece se, questo doppio vocale diventasse polivocale, generando un ambiente sonoro abitabile e identitario, uno specchio pulsionale generatore di piacere? Roland Barthes nel 1985 scriveva che “cantare è godere fantasticamente del proprio corpo unificato”.
Sembrerebbe questo l’esito dell’esperimento Speaking Cables di Agnese Banti portato in scena al FOG Performing Arts Festival 2024 alla Triennale di Milano.
Un percorso identitario per riconoscersi, rinascere, stabilire un nuovo contatto con il mondo, come accade nello Stadio dell’Eco teorizzato dallo psicanalista francese Erik Porge: si tratta di uno stadio precoce dell’infante in cui si realizza uno scambio di suoni e risonanze, in cui la voce si configura come canto che stabilisce una relazione con il mondo. Come se fosse la prima volta a contatto con la sua voce, Banti crea uno spazio sonoro di sperimentazione in cui giocare. Questo spazio ha origine dalla propria voce, ma si evolve nella creazione di un “mondo altro” con cui interloquire.
La voce di Banti che da canto diventa eco vibrante grazie all’uso di un microfono, dodici cavi – che collegano il microfono attraverso un tredicesimo cavo a dodici altoparlanti – e live electronics(di Andrea Trona), genera una trance ipnotica prima onirica, poi caotica e destabilizzante verso una tensione cosmica: il palco sembra tremare. Speaking Cables è un rituale quasi sacro dalla forza primordiale, che definisce un territorio – quello interiore, il confine dell’io – che trascende la realtà, ma senza prescinderla del tutto.
La voce stabilisce una relazione positiva con l’io identitario di Banti – quasi come avviene nella meditazione – e una relazione di tipo sinestetico con chi ascolta. L’esperimento infatti non si riduce solo a un’esperienza d’ascolto, ma si evolve in un evento di manifestazione di sinestesia audio visiva legata alla sfera dell’immaginazione.
Su un palco-foglio (?) bianco e spoglio i molteplici cavi che mandano e ricevono continuamente input, diventano tracce di segni, flussi di energia parlanti, voci che si fanno corpo tangibile, ma anche simmetrie mobili in trasformazione, traiettorie di strade labirintiche in cui perdersi. Gli speaking cables come diramazioni fisiche del corpo della voce, diventano i personaggi di una drammaturgia di cui la storia può essere immaginata liberamente anche a luci spente: nell’ultima parte, l’esperimento coinvolge frammenti di voci registrate e, come se chiudessimo gli occhi, l’unico spazio esperienziale al buio è lo spazio sonoro, uno spazio infinito. L’esito può essere duplice: immaginare le storie che sono dietro a questi racconti frammentati o perdersi e non capire.
Speaking Cables si muove tra ricerca di sè e desiderio di ritualità collettiva, tra esperienza soggettiva quindi e tentativo di condivisione e potrebbe avere sviluppi successivi in diversi ambiti e contesti.
Speaking Cables “è ritagliarsi uno spazio fisico di gioco, di libertà, di possibilità” (Banti).
Lavinia Laura Morisco