Si ride amaramente, ma molto amaramente in Gianni Schicchi/L’heure espagnole, inedito dittico in scena al Teatro dell’Opera di Roma, diretto da Michele Mariotti con la visionaria regia di Ersan Mondtag che ha riscontrato applausi e consensi dall’affollatissima platea di tutte le repliche.
Secondo appuntamento del Trittico ricomposto di Puccini, progetto triennale realizzato in occasione del centenario della morte del compositore in collaborazione con il Festival di Torre del Lago, fortemente voluto dal Direttore musicale del Costanzi, Gianni Schicchi/L’heure espagnole nasce dall’idea di accostare un atto unico di Puccini a un’opera affine del Novecento che affronti gli stessi temi.
E sono la famiglia (in Puccini) e la coppia (in Ravel), disgraziatamente disgregate, il cuore di questo amaro dittico: una famiglia solo apparentemente unita, ma in realtà divisa dagli interessi personali e dai propri egoismi, una coppia borghese fra arguzie e tradimenti.
Pienamente moderna, divertente e profonda, la sempre accattivante lettura musicale di Mariotti che sul podio dell’Orchestra asseconda in ogni dove la drammaturgia delle opere (curata da Till Briegleb) la loro amara comicità, nella vivacità dei colori di Puccini o nelle sofisticate sfumature di Ravel: pochi i momenti in cui l’Orchestra finisce per sovrastare le voci. Alla musica si affianca la sfolgorante regia di cupa inventiva visiva del berlinese Ersan Mondtag che attinge vistosamente all’espressionismo tedesco per il suo debutto al Costanzi.
Mondtag, pluripremiato artista in diversi campi, che rappresenterà la Germania alla Biennale Arte di Venezia 2024, ha scelto cromatismi accentuati con una regia che convince puntando su ritmi calibrati, ma efficaci, con qualche personale rilettura come lo Schicchi persuaso a non andarsene non solo dalle canto di Lauretta, ma anche dalle parole di Simone.
Un tripudio di fantasia e citazioni cinematografiche i costumi di Johanna Stenzel, le bellissime luci di Sascha Zauner che confermano l’incontenibile vivacità creativa del regista e della sua visione dell’allestimento. Il trucco anni venti si affianca ai coloratissimi e preziosi, esagerati costumi di foggia espressionista.
Volutamente esagerati nei colori e nei tessuti (ma una meraviglia per gli occhi) i costumi dei Donati, dai morbidi di pelliccia, agli abiti da sera con tulle, dai tessuti damascati alle pellicce maculate. Solo Gianni Schicchi e Lauretta, “gente nova” disprezzata dagli aristocratici, sono vestiti elegantemente, ma senza eccessi. È estrema, da parte del regista l’attenzione dei confronti della recitazione degli artisti con la capacità di riuscire a sfruttare ogni parte del palco, nell’esaltazione di ogni sentimento, di rabbia, frustrazione o speranza.
Semplicemente strepitoso il Gianni Schicchi di Carlo Lepore, insuperabile per recitazione e voce, negli accenti e nelle sfumature, nel regalare al suo personaggio la l’arguzia, l’intelligenza e la sfrontatezza della gente nova. Sempre alto il livello del cast, l’ottimo Simone di Nicola Ulivieri, la tenera Lauretta di Vuvu Mpofu, già premio John Christie Award 2019, la tremenda Zita di Sonia Ganassi (Premio Abbiati 1999), il Rinuccio del tenore Giovanni Sala. In scena anche Ya-Chung Huang (Gherardo), Roberto Accurso (Betto), Nicola Ulivieri (Simone), Daniele Terenzi (Marco), Domenico Colaianni (Spinelloccio), Alessandro Guerzoni (Pinellino), Daniele Massimi (Guccio), Valentina Gargano (Nella), Ekaterine Buachidze (La Ciesca), Mattia Rossi (Ser Amantio di Nicolao).
L’impianto scenico è unico, con qualche variazione tra la prima e la seconda opera: Gianni Schicchi si apre con un grande palazzo ormai polveroso e decadente, con i vetri delle finestre rotte e la vegetazione che avanza negli interni. La grande scalinata, si erge come elemento di passaggio, sul grande letto giace il defunto Buoso Donati in versione Dante Alighieri.
Dopo una commedia dalle atmosfere noir, L’heure espagnole si pone come divertente pochade che racconta la disgregazione della coppia borghese dove le scene, immutate si trasformano in una sorta di Settecento apocalittico, dove scorrono ininterrottamente i video post-apocalisse di Luis August Krawen: in scena un grande orologio e tante preziose pendole pronte a ospitare il via via di amanti dell’insoddisfatta Concepciòn, il brillante mezzosoprano francese Karine Deshayes al debutto al Costanzi come il tenore Ya-Chung Huang nel ruolo dell’orologiaio tradito Torquemada.
Un ininterrotto via via di amanti, che siano in carica o meno, poco importa, arricchisce la scena rendendo tragicamente comica la vicenda: si alternano nei ruoli degli amanti o aspiranti tanti tutti adeguatamente a loro agio, il tenore Giovanni Sala che interpreta Gonzalve, amante in carica, ma inconcludente poeta perso tra i suoi versi, il basso-baritono Nicola Ulivieri, il ricco, ma goffo Don Inigo Gomez, il baritono Markus Werba, aitante baritono nel ruolo del disinvolto mulattiere Ramiro, beniamino del pubblico romano.
Grande successo di pubblico che accoglie calorosamente questo nuovo allestimento di successo.
Fabiana Raponi