Il Teatro Nazionale come spazio aperto alle arti performative contemporanee e alla contaminazione dei linguaggi con la Serata giovani coreografi (ultima replica stasera 2 febbraio ore 20) conferma il Teatro dell’Opera di Roma come luogo di crescita e promozione del futuro della danza. Commissionati dalla direttrice del Corpo di Ballo Eleonora Abbagnato, sono due i lavori che compongono questo ipotetico dittico, Yellow di Adriano Bolognino e I died for love di Simone Repele/Sasha Riva.
Si tratta due lavori apparentemente simili, ma in realtà estremamente diversi, che offrono al pubblico una visione sulla danza contemporanea attraverso due sguardo opposti, la precisione dinamica del gesto di Bolognino e la teatralità del linguaggio di Repele/Riva realizzati con le étoiles Alessandra Amato e Rebecca Bianchi, del solista Simone Agrò e del Corpo di Ballo dell’Opera di Roma.
Se è vero che l’appuntamento con la Serata Coreografi contemporanei è diventata uno degli immancabili appuntamenti nel cartellone delle stagioni, inaugurato nel 2015, anno di arrivo della Abbagnato all’Opera e da lei fortemente voluto, tanto da consolidarsi come anno dopo anno prima portando in scena (e nel repertorio della compagnia) Forsythe, Preljocaj, Inger, Pastor, Wheeldon, Millepied, adesso la proposta viene ulteriormente ampliata portando sulla scena i nuovi talenti della coreografia contemporanea italiana.
La serata si apre con il linguaggio fisico, ma astratto, di Bolognino che in Yellow presenta “una ricerca non tanto della forma del danzatore quanto della sua parte interiore”. In effetti a supplire all’astrazione della creazione arriva qualche dichiarazione del coreografo, napoletano, classe 1995, al debutto all’Opera, ma con un invidiabile cv fatto di esperienze internazionali, che parla di “presenza di elementi narrativi non troppo espliciti” legati alla sua vita.
Giallo è il colore simbolo di Bolognino, giallo è il colore della sua energia creativa, della sua anima che il coreografo intende far rivivere attraverso i danzatori che plasmano, ciascuno personalmente, il suo lavoro, in un processo di continua osmosi.
In scena, fra le musiche di Ben Frost e Max Richter, su un fondale giallo, che richiama le oniriche e surrealiste suggestioni di Dalì, un uomo, Simone Agrò, proteso alla ricerca o al ricordo di qualcosa: entra in scena una donna, poi altre donne, le coppie si rimescolano prima della sfilata finale delle donne in lunghi abiti colorati.
Non mancano le suggestioni di cartoni manga giapponesi, attraverso costumi/tuta con tanto di accenno delle matite che Bolognino da bambino sognava di voler animare, ma se ci sono delle suggestioni personali, è pur vero che si resta sempre all’interno di una narrazione astratta e costruita su gesti precisi (utile, per la decifrazione della creazione l’intervento nelle note di sala). Lo spettatore può ricavare delle suggestioni personali, cogliere elementi non troppo espliciti legati alla sua vita, costruirsi una personale drammaturgia.
L’importante forse è lasciarsi trascinare dalle emozioni della forma e dei gesti, dalla dirompente energia del movimento e del giallo che Bolognino porta in scena in un lavoro che disegna il percorso artistico del coreografo, dai suoi inizi fino ad ora.
Si ispira alla canzone folk The Butcher Boy, della tradizione americana, I died for love di Simone Repele e Sasha Riva in scena nella seconda parte della serata: una creazione costruita intorno alla popolare figura della ragazza abbandonata dal suo amante che decide di togliersi la vita chiedendo di porre una tortora sul suo petto per mostrare a tutti di essere morta per amore.
La nuova creazione dei “poeti della danza”, torinese, classe 1993 Repele e originario della Virginia, classe 1991, Riva, non nuovi all’Opera di Roma (per cui hanno realizzato le coreografie di Mass di Bernstein, spettacolo inaugurale della stagione di Caracalla 2022), si svolge su due diversi piani narrativi, uno più reale e uno più astratto.
Tutta la perfomance si sviluppa intorno al gusto teatrale di Repele/Riva e si apre con una messa in scena quasi fumettistica, con tanto di panchina e brillante prato verde all’inglese, dell’incontro dei due protagonisti, sulle note struggenti della canzone (riproposta in diverse versioni) per approdare poi a una dimensione astratta e onirica dai toni grigi e mortiferi.
Il linguaggio coreografico resta un delicato equilibrio fra danza classica e contemporanea, dal pas de deux iniziale che sancisce la storia d’amore fra i due protagonisti, alla rivisitazione in chiave moderna dell’atto bianco, che schiera le danzatrici nei panni di una sorta di villi contemporanee, ragazze vittime dell’amore e morte prima di coronare il loro sogno.
Ma il piano astratto consente a ogni spettatore di potersi ricavare una propria idea sui temi raccontati che restano universali. Ciascuno riesce a trovare un po’ di sé stesso in un racconto dove convivono eros e thanatos, ma che racconta anche di visioni distorte dell’amore arrivando anche alla violenza di genere sulle donne.
Un interessante sguardo nuovo sulla danza contemporanea: ultima replica stasera, 2 febbraio ore 20 al Teatro Nazionale.
Fabiana Raponi