Un piccolo intervallo di tempo – 7 minuti – rappresenta la distanza tra un diritto e un sopruso.
Nello scarno spogliatoio femminile di una azienda tessile, l’aria è densa di fumo e di interrogativi su una scelta che si ripercuoterà pesantemente sulle vite di duecento persone. Lavoro e diritti sono temi divergenti? È la dicotomia sulla quale si confrontano, e si scontrano, 11 lavoratrici di cui 9 operaie e 2 impiegate, componenti il Consiglio di fabbrica dell’azienda che deve deliberare sulla proposta avanzata dalla nuova proprietà.
Stefano Massini, autore sensibile ai temi civili e recente vincitore del Tony Award, si è ispirato per scrivere questo dramma alla vicenda vissuta nel 2012 dalle operaie tessili di Yssingeaux, nell’Alta Loira, con la dirigenza subentrata dopo l’acquisizione.
Nello spogliatoio sulla cui parete di fondo incombe presago un enorme orologio con le lancette ferme alle 7,25, le delegate attendono la fine della riunione degli organi dirigenziali col nuovo socio straniero di maggioranza, alla quale partecipa la loro portavoce. La spasmodica attesa alimenta l’angoscia di ipotetiche riduzioni dei livelli occupazionali con drastici tagli di personale.
L’entrata in scena di Bianca crea uno stato di sospensione, il timore di un verdetto infausto, l’ineluttabilità del peggio. Bianca è annichilita, ma rassicura le compagne che il posto di lavoro è garantito, però … la dirigenza ha posto una condizione: 7 dei 15 minuti dell’intervallo diventano lavorativi, senza aumento salariale. Sembra un’inezia, è accettabile e all’unanimità sono d’accordo per il sì, ma Bianca è contraria, ha trent’anni di esperienza e molto senso pratico: 7 minuti al giorno per 200 operaie fanno 600 ore mensili lavorate gratis a vantaggio dell’azienda. Non si può cedere, non si può far calpestare la dignità togliendo poco a ognuna per ottenere molto profitto nel totale, non si può creare un precedente che verrebbe applicato da altri datori di lavoro, con notevoli ripercussioni sociali.
Ma si può correre il rischio del licenziamento o della delocalizzazione per 7 minuti? Bianca viene sospettata di connivenza coi padroni. Man mano l’unanimità vacilla, quella proposta è un inganno che porta a galla i drammi esistenziali, le differenze di generazione, cultura, nazionalità, provenienza sociale e personalità di un gruppo fino a quel momento coeso. Il linguaggio si fa scarno, serrato, incalzante, plausibile, racconta l’umanità di ciascuna, il percorso, le incertezze, i dolori; alcune sono straniere e portatrici di istanze diverse, le altre provengono da varie regioni del paese. Ognuna esprime il proprio vissuto: la donna dell’est con figli, la turca emarginata, l’africana che deve misurarsi con l’ostilità, la ragazza un po’ sventata, madri di famiglia, figlie che sognano un futuro.
Votano, dissentono, rivotano, l’esito cambia ogni volta, per empatia con Bianca o per intimo convincimento. Sul 5 a 5 sarà determinante il voto della più giovane. Il sipario si chiude, ciascuno può scrivere il proprio finale su lavoro, diritti e dignità.
La regia di Claudio Boccaccini rispecchia lo schema del dramma giudiziario in cui l’imputato è attorniato dai giurati. Così Bianca, interpretata con empatica costernazione e atavico spirito di giustizia da Viviana Toniolo, è seduta al centro della scena, punto focale delle invettive delle dieci colleghe che si esprimono in una miscellanea di accenti, in un contesto di alta tensione drammatica (scena di Eleonora Scarponi, luci di Francesco Bàrbera, musiche originali di Massimiliano Pace). Il personaggio di Silvia Brogi è il perno della discussione, madre di una giovanissima operaia, funge da saggia e instancabile mediatrice fra le intemperanze delle colleghe di lungo corso e le ingenuità delle giovani leve che si sentono defraudate del futuro.
Bravissime tutte le altre interpreti, che tratteggiano i diversi tipi umani: Liliana Randi, Chiara Bonome, Chiara David, Francesca Di Meglio, Mariné Galstyan, Ashai Lombardo Arop, Maria Lomurno, Daniela Moccia, Sina Sebastiani.
Tania Turnaturi