La morte precoce di Annibale Ruccello a soli 30 anni nel 1986, ha privato la drammaturgia contemporanea di un autore innovativo. Tuttavia, il talento abbinato agli studi della lingua napoletana e di antropologia sulla condizione di una umanità che si trascina nel degrado superstizioso e violento, lo hanno reso oggetto dell’attenzione di attori, registi, studiosi e spettatori che ne hanno colto la sensibilità per le dinamiche emotive femminili vissute in quotidiana solitudine, fino a sfociare in sentimenti esacerbati, illogici, grotteschi e allucinatori.
Il monologo di Anna Cappelli, l’ultimo della produzione drammaturgica di Ruccello, ha attratto molte attrici che si sono misurate con la disperazione della donna, che percorre i bui recessi della psiche fino a sprofondare nel delirio di possesso dell’amato.
Inizia in sordina il viaggio interiore di Anna, che percorre gli anni della sua vita attraversati da una indicibile solitudine esistenziale, all’interno di un ideale cubo delimitato da sottili spigoli gialli nella scena di Massimo Palumbo, metafora dello spazio angusto in cui il suo io è stato relegato.
Quasi un peso per la famiglia d’origine che le preferisce la sorella Giuliana, lascia Orvieto per trasferirsi a Latina come impiegata al comune, dove abita presso l’insopportabile signora Tavernini in una casa invasa dai gatti e dal puzzo di pesce bollito e pancetta fritta.
Lavora in un ufficio pieno di scartoffie polverose, non lega con i colleghi che definisce pettegoli e altezzosi, non si sente amata dalla famiglia, non va d’accordo con la padrona di casa, coltiva risentimento e ossessioni agognando di porre fine alle frustrazioni grazie a un matrimonio borghese con un uomo benestante, come era in voga negli anni Ottanta.
Quando incontra il ragionier Tonino Scarpa pensa di realizzare il sogno. L’uomo la invita a uscire, possiede una casa di dodici stanze, sembra il principe azzurro. Rifiuta il matrimonio come convenzione borghese, ma Anna si mostra emancipata e accetta la convivenza: una casa e un uomo le bastano per sentirsi appagata.
Il colpo di scena arriva quando il ragioniere le annuncia di lasciarla e trasferirsi in Sicilia. Si scatena l’ossessione del possesso, Tonino è suo, e solo suo sarà per sempre il suo corpo. Che rivivrà in lei. Bruciati i sogni, resta il bisogno famelico di possedere definitivamente l’uomo al quale ha sacrificato la rispettabilità sociale in cambio dell’amore. Sazierà mangiandolo la sua brama d’affetto, nell’estremo gesto di follia vendicatrice e di istinto di sopravvivenza, dopo aver bruciato la casa con l’ultima candela ricavata dalle sue ossa. Realtà? Delirio?
La scrittura di Ruccello è ben veicolata da Giada Prandi che confida il suo animo sempre rivolta agli spettatori ora in sordina con tono suadente, ora con tono disperato e straniante. Lo spogliarsi man mano degli abiti, fino a mimare un incontro sessuale, rende ancor più tangibile il suo essere spoglia di affetti, trascurata da genitori, sorelle, padrona di casa, amante.
La regia di Renato Chiocca affida la potenza del messaggio alla forza interpretativa dell’attrice, applaudita con entusiasmo anche dai suoi allievi della Scuola di recitazione. Le luci di Gianluca Cappelletti e i costumi di Anna Coluccia accompagnano il susseguirsi degli eventi sottolineati dalle musiche originali di Stefano Switala, che iniziano e finiscono con “Tu mi fai girar come fossi una bambola…”.
Dalle note di regia: “Un testo, un’attrice e il teatro come spazio della mente. Ho sempre considerato questo testo di Ruccello un piccolo capolavoro contemporaneo per sintesi, poesia e complessità, e quando finalmente Giada Prandi ha accettato la mia proposta di interpretarlo, la nostra Anna Cappelli ha cominciato a vivere, rivelandosi immediatamente per la sua universalità, fuori dal tempo….Come molti di noi, oggi sovraesposti agli stimoli dei social network e di modelli di vita esterni al nostro reale quotidiano, Anna ha una sovraesposizione mentale ed emotiva che contrasta con le sue capacità di elaborazione”.
Tania Turnaturi