Scritta da Carlo Goldoni in dialetto veneziano nel 1760 e rappresentata al teatro San Luca nel dicembre di quell’anno, ebbe una tale accoglienza da essere replicata fino alla fine del carnevale dell’anno successivo.
E, infatti, si tratta di una commedia vivace e ben congegnata, un capolavoro di raffinato equilibrio, realizzato in soli tre giorni, al rientro a Venezia da Roma.
È in corso un trasloco nella grande casa nuova che Angiolino e Cecilia desiderano sfarzosa, impiegando uno stuolo di maestranze guidate da un architetto costretto a fare e disfare, spostare ambienti e impiegare lussuosi materiali, nel tentativo di soddisfare i volubili desideri della giovane moglie e dell’incostante marito affetti da una grandeur inadeguata alle disponibilità.
Capricciosa, amante del lusso e blandita da un corteggiatore nobile e decaduto, Cecilia è perennemente insoddisfatta e pretenziosa. Oberato dai debiti e inetto nel gestire le sue finanze, Angiolino è altrettanto incapace di contenere le esuberanti richieste della supponente sposina.
Meneghina, sorella di Angiolino, amoreggia con lo spiantato Lorenzino e mal sopporta la cognata capricciosa e il fratello imbranato coi quali è costretta a coabitare. Osservano dall’alto e spettegolano sul disastro annunciato le vicine Checca e Rosina, due sorelle formalmente benpensanti, attratte irresistibilmente da tutto quel trambusto.
Deus ex machina dell’andirivieni di scrocconi, opportunisti e nobili d’antan è la cameriera Lucietta, che medita di licenziarsi avendo intuito il baratro che le si para davanti.
Sarà Checca a soccorrere gli sposi, favorendo l’incontro di Cecilia con Cristoforo, lo zio di Angiolino, snobbato perché ‘puzza di mortadella’ avendo laboriosamente fatto il salumiere, che adesso la ragazza supplica di aiutarli. Uomo saggio e morigerato, acconsentirà a saldare i debiti dell’incauto nipote e prenderà tutti in casa dopo aver eliminato la congrega di parassiti.
La commedia, che prende spunto dalla vicenda personale di Goldoni che cercava una casa a Venezia ma non aveva sufficienti risorse, è tra le più brillanti del commediografo e tra quelle a lui più care. Intorno al tema del trasloco, Goldoni costruisce uno schema drammaturgico calibrato dai dialoghi vivaci, descrivendo una borghesia dissipatrice e pretenziosa che precipita nel baratro distruggendo la propria ‘casa nova’ e dovrà fare affidamento sulla generazione precedente sobria e risparmiatrice, intrecciando a questo filo conduttore l’ipocrisia e la vacuità di un microcosmo fatuo.
Nell’arco di una giornata, la struttura drammaturgica sviluppa un ritmo incalzante fino a diventare frenetico, che la dolcezza della lingua veneziana rende ancor più tangibile.
Renato Simoni negli anni ’50 ne aveva proposto una edizione in lingua, poi Luigi Squarzina nel 1973 nella lingua di Goldoni. Questa edizione si avvale del contributo linguistico e dell’adattamento di Paolo Malaguti, importante scrittore veneto.
Stefano Santospago nel ruolo dello zio è mirabile per la forza espressiva e la naturalezza linguistica di una parlata veneziana davvero esilarante. Mersila Sokoli, Iacopo Nestori e gli allievi attori dell’Accademia Nazionale d’Arte drammatica Silvio D’Amico, Lorenzo Ciambrelli, Edoardo De Padova, Alessio Del Mastro, Sofia Ferrari, Irene Giancontieri, Andreea Giuglea, Ilaria Martinelli, Gabriele Pizzurro, Gianluca Scaccia, offrono uno spettacolo corale di sintonia rappresentativa con qualche ingenua caratterizzazione, che la regia di Piero Maccarinelli gestisce con mano sicura. L’impianto scenico, dello stesso Maccarinelli, ripartisce lo spazio su due livelli, corrispondenti ai due piani della casa degli sposi e dell’appartamento delle due sorelle, illuminati alternativamente.
L’universalità dell’arrivismo e dell’ipocrisia sociale è evidenziata dall’ambientazione contemporanea di una ‘casa nova 4.0’ con i protagonisti in stringate minigonne e dotati di cellulari, accompagnati dalle musiche di Antonio Di Pofi.
Scrive Maccarinelli nelle note di regia: “Mi interessava raccontare una storia di giovani superficiali all’inseguimento dei nuovi trend, di ambizioni sbagliate di una socialities spesso male interpretata, di inseguimenti di facili obiettivi contrapposti ai valori oggettivi della generazione precedente ma senza moralismi, cercando, sorridendo, di correggere i costumi. I personaggi più popolari o più vecchi ancora usano la lingua madre il dialetto come calata o come inflessione”.
Tania Turnaturi