Stefano Massini
porta in scena alla Pergola L’interpretazione dei sogni di Sigmund Freud, che studia e approfondisce da ormai più di dieci anni. Una «sorta di bella ossessione», come la definisce lui stesso, approdata nel 2017 alla forma di libro con L’interpretatore dei sogni (pubblicato da Mondadori) e l’anno scorso a questo spettacolo teatrale che conta 87 repliche – finora – in una sola stagione.
Quello di Massini è un teatro di parola capace di tradurre anche una pietra miliare del Novecento in una storia da raccontare. Una storia che inizia con Betta, la giovane governante dalle notti insonni che decide di entrare in casa Freud tanto fermamente così come poi decide di uscirne. Quella parentesi nella vita domestica di famiglia accenderà in un Sigmund appena trentenne la curiosità per il mondo onirico, che presto diventerà l’oggetto prediletto dei suoi studi.
Attraverso le sue riflessioni, i sogni dei suoi pazienti, le conversazioni con loro, con la moglie, con un esponente della borghesia viennese, lo spettacolo ripercorre non tanto le teorie del celebre psicoanalista, quanto il percorso che lo ha portato a scoprirle. Lo studio di Freud in fondo non è altro che un continuo dialogo con gli altri e con sé stesso, nel tentativo di vedere anche quello che i sogni non mostrano, grattare via lo strato superficiale e scoprire cosa c’è sotto.
Stefano Massini affronta il testo esattamente come il fondatore della psicoanalisi affronta il mondo onirico: dialogando con lui e con le sue opere, trovando il bandolo giusto e sciogliendo il groviglio di una matassa che agli altri appare indomabile. Applicando una moderna maieutica prima alla lettura, poi alla scrittura e infine alla messinscena. Una messinscena che è essa stessa in qualche modo un sogno, e viceversa. D’altronde è Freud stesso a chiedersi «Perché questo teatro ogni notte, quando chiudo gli occhi, apre il sipario?» e a trovare la risposta nella veglia, alla luce del giorno, quando siamo tutti su un palcoscenico. Nel sogno l’uomo sfoga quello che da sveglio trattiene, complice una struttura sociale di stampo borghese che limita la nostra libertà di comportamento. A che prezzo abbiamo conquistato la civiltà, l’agio, la ricchezza?
L’interpretazione dei sogni viene pubblicato agli albori di quello che Hobsbawm definirà “il secolo breve,” quello che ha segnato la storia dell’uomo più di ogni altro. Il secolo in cui il mondo ha dimostrato che quella della civiltà è forse soltanto una maschera che ci piace indossare. «Il prezzo del progresso si paga con la riduzione della felicità, dovuta all’intensificarsi del senso di colpa» scriverà Freud molto più tardi, ne Il disagio della civiltà, in un’Europa che ormai ha già vissuto la Prima guerra mondiale e sta per entrare nella Seconda.
Un teatro di parola, dunque, in cui la protagonista indiscussa è la storia, anzi le storie. Storie di persone lontane da noi nel tempo e nello spazio, in cui però ci riconosciamo. Non nei sogni, ma nelle paure. Perché alla fine il sogno è un’immagine privata di una paura che spesso è condivisa.
La voce di Massini è accompagnata dalle meravigliose musiche di Enrico Fink, eseguite magistralmente da Saverio Zacchei (trombone e tastiera), Damiano Terzoni (chitarre) e Rachele Innocenti (violino). E mentre le note sottolineano picchi e profondità delle emozioni, le scene di Marco Rossi, le opere pittoriche di Walter Sardonini, i costumi e le maschere di Elena Bianchini danno forma ai sogni dei pazienti, che Massini-Freud descrive, analizza, sviscera fino all’osso per rivelare la semplicità del complesso,