Come tremano le cose riflesse nell’acqua (Čajka) di Liv Ferracchiati, liberamente ispirato a “Il Gabbiano” di Checov è andato in scena al Piccolo Teatro Studio Melato dal 27 gennaio al 25 febbraio 2024.
É difficile distogliere lo sguardo dallo specchio d’acqua sullo sfondo che intravediamo da una vetrata, quando si è di fronte alla scena dell’ultimo spettacolo di Liv Ferracchiati Come tremano le cose riflesse nell’acqua (Čajka). Intrigante è la percezione inevitabile che quel corso d’acqua ci stia guardando: può attirare e unire come un magnete, ma d’anime e pensieri; può esistere o sparire, come un indicatore-specchio di stati d’animo mutevoli.
Sono inquieti i personaggi di questa riscrittura di Liv Ferracchiati liberamente ispirata a “Il Gabbiano” (1985) di Checov: tutti alla ricerca infinita di un senso – si chiedono quale sia il perchè delle cose e dell’esistenza – tutti in preda all’inseguimento di un amore non corrisposto. C’è anche chi abusa nel bere dosi di valeriana. Gli stessi personaggi sono a loro volta attratti da quel lago sullo sfondo, con cui possono verbalmente interagire con un semplice saluto – “ciao Lago” – o renderlo responsabile di quanto accade -“non sarà colpa di questo lago stregato?”
I nomi di tutti i personaggi, con tanto di nota accanto, sono, nel testo di Ferracchiati, il correlativo oggettivo di quello che rappresentano e delle loro azioni: Madre (Arkadina in Checov) diventa una grande attrice forse in declino, Figlio (Kostja in Checov) è definito uno che prova a influenzare la realtà con la scrittura, lo Zio (Sorin in Checov) uno che voleva non essere, Nina è definita come una che vuole fare l’attrice o la rivoluzione, il Romanziere (Trigorin) uno a cui piace pescare, la Vicina (Maša in Checov) una che porta prugne e il lutto per la sua vita, il Dottore (Dorn) uno sazio della vita, il Maestro (Medvèdenko) uno a cui tocca camminare. I personaggi così definiti, diventano icone universali in un’affascinante realtà di teatro nel teatro, calata in un dramma dai risvolti corali.
Dentro un soggiorno-cucina moderno le vite di questi personaggi si intrecciano, si dividono, si scontrano, si respingono, si ricercano, esplodono con un colpo di scena o con un colpo in scena, di pistola. É qui che si compie la tragedia. Il nucleo centrale del testo e fulcro dello spettacolo, è il rapporto non riuscito tra Madre (Laura Marinoni) e Figlio, interpretato da Giovanni Cannata con una naturale energia che incuriosisce e coinvolge. Parte da qui la genesi dello spettacolo, in particolare “nella scena della bendatura c’è il nucleo per me de Il Gabbiano – dichiara Ferracchiati – la scena del terzo atto quando Treplev chiede alla madre Arkadina, di cambiargli la fasciatura e in cui la madre slega la bendatura del figlio per medicarlo. Questa scena racchiude il desiderio di riconoscimento a livello personale e artistico di Kostja dalla madre Arkadina, ma anche quello di avere e dare amore. All’interno di ogni atto viene inserita una variazione madre figlio, senza dimenticare che Nina è una sorta di doppio di Arkadina. Da qui il collegamento della mia scrittura con il racconto di Wallace “Caro vecchio neon”, in particolare mi riferisco al momento precedente all’atto estremo del suicidio del protagonista in cui dice: “ Me ne stavo lì seduto a persarci e guardavo il ficus. Tutto sembrava tremare un po’, come tremano le cose riflesse nell’acqua”. Il protagonista di Wallace sceglie di uccidersi perchè non riesce a essere sè stesso.”
Esattamente come accade a Figlio e al protagonista del suo libro: è impegnato nella scrittura ardua e lenta di un libro il cui protagonista è “uno che vuole ammazzarsi”. Kostja alla ricerca continua di conferme da parte di Madre, ma anche di un consenso generale, chiede a tutti di leggere il suo scritto, senza che trapeli l’intonazione o l’emozione, impresa che si rivelerà quasi impossibile. Tormentato è il suo rapporto con le figure femminili importanti nella sua vita, Madre e Nina la sua fidanzata. Introspettivo, ma anche quanto mai reale il legame con la scrittura che considera come un atto linguistico che può modificare la realtà, “a me la scrittura interessa solo se agisce sulla vita” afferma, mentre critico è il suo occhio sul teatro, “per me il teatro d’oggi è pura noia” dice.
Il nucleo tragico è piacevolmente interrotto da scene oserei dire “di contrasto” comico, tanto care a Checov, per una convivenza pienamente riuscita tra registro tragico e registro comico. “Il Gabbiano di Checov è per parola chiave una Commedia in 4 atti. Lo spunto comico è già presente in Checov. Quando Stanislavskij non lo inseriva, Checov si arrabbiava” (Liv Ferracchiati). La messa in scena dello spettacolo è moderna, avvincente, a tratti grottesca, ma con equilibrio: fa anche sorridere.
Il percorso di Figlio diventa vertiginoso e drammatico, anche in seguito all’abbandono di Nina che decide di seguire il Romanziere e, a causa delle leggerezze della madre, troppo presa dalla sua carriera di attrice e abbandonata a sua volta dal Romanziere che si mette insieme a Nina. La prima parte dello spettacolo si conclude con il rumore di uno sparo in scena e la morte di un gabbiano e con Kostja ferito. Figlio (Kostja), mentre vede sulla superficie del lago la sua immagine che trema dice “Sono un vigliacco, ho ucciso questo gabbiano in attesa di uccidere me stesso”.
Cambiano i toni nella seconda parte dello spettacolo. La scena è vuota, non c’è nessuno. Il lago sembra essere stato inghiottito. Solitudine, desolazione, smarrimento sono i tratti salienti, amplificati dal suono fuori campo di un malinconico pianoforte. Cambia il ritmo della scena, l’atmosfera si fa cupa. É in questa atmosfera che si compirà alla fine il gesto estremo di Kostja di togliersi la vita, dopo aver parlato con Nina e poi con la madre. Dichiarerà così il suo dramma interiore “Mamma sono come questo lago prosciugato. Io non sento niente, solo il vuoto”.
Il finale si riconduce ciclicamente al dialogo presente nella scena iniziale quando viene chiesto a Figlio: “perchè scrivi?” e risponde che è come se gli chiedessero “perchè vivi?”
Abbiamo posto alcune domande sullo spettacolo Come tremano le cose nell’acqua (Čajka) al regista Liv Ferracchiati.
Partiamo dalla genesi dello spettacolo. Cosa ti ha spinto alla scelta dell’autore Checov?
Liv Ferracchiati: Checov è un autore che amo moltissimo. Ho iniziato a studiarlo nel mio primo progetto su Checov che ho portato in Triennale, “Platonov”. Ho lavorato in équipe con la dramaturg Piera Mungiguerra e sono stata affiancata da un traduttore, Fausto Malcovati, interprete metaforico tra noi e Checov. Come tremano le cose riflesse nell’acqua è il risultato di un lavoro lungo più di due anni. Abbiamo letto anche l’epistolario di Checov, fondamentale per immergermi nel mondo dell’autore attraverso anche un lavoro di traduzione di alcune lettere. La traduzione poi, è un’interpretazione.
Il discorso sulla scrittura è centrale nella tua riscrittura drammaturgica. Che connessione c’è tra questo e un riferimento autobiografico e che relazione c’è tra Liv regista e Liv drammaturgo?
Liv Ferracchiati: Non c’è un riferimento autobiografico, piuttosto un riferimento tematico. Come tremano le cose riflesse nell’acqua è uno spettacolo corale. Tra Liv regista e Liv drammaturgo la relazione è conflittuale …in realtà non è vero (sorride). Prevale il lavoro del drammaturgo. Non c’è niente che non sia al servizio del testo. La regia non esiste senza il testo, ma poi è la scena stessa che ti suggerisce cosa fare.
Secondo te che ruolo può avere oggi il teatro?
Liv Ferracchiati: La risposta è passare alla prossima domanda…(sorride). Il teatro è possibilità di approfondire. Il ruolo del teatro può essere quello di far riappropriare lo spettatore e le maestranze dello sguardo, della capacità di guardare la realtà, che è stratificata. Tutto passa attraverso lo sguardo.
Stai avendo molto successo sulla scena. Come ti senti oggi Liv? Pensi che questo successo possa influenzare le tue scelte artistiche future?
Liv Ferracchiati: Il mio modo di approcciare è sempre lo stesso. Sto lavorando molto e non percepisco il successo, non mi influenza in nessun modo. Il mio è un percorso di ricerca, di senso e di esplorazione. Forse il successo è la felicità.
Lavinia Laura Morisco