“Storie Taciute”
di Flavia Valoppi è uno spettacolo di memoria, che attinge alla materia storica prestando particolare attenzione alle connotazioni territoriali degli eventi: siamo nel Friuli a cavallo della Prima Guerra Mondiale, la Grande Guerra.
Gli elementi di partenza paiono addirsi al Teatro di Narrazione più tipico come anche alle nuove scritture generazionali che hanno caratterizzato il teatro italiano dagli anni zero in poi. Ma in “Storie Taciute” è il linguaggio teatrale a governare il lavoro, più che una formula drammaturgica o l’istintività attorica.
Un palcoscenico vuoto riceve lo sguardo prima che lo spettacolo inizi. Non è vuoto in realtà, appare piuttosto uno spazio che in passato ha accolto e protetto, ed ora è carico di presenza immateriale, di ricordo e nuova vita pronta a ricominciare. Una luce blu, come un orizzonte serale denso, non abbandonerà mai la scena. In un angolo, due sedie di legno incrociano i profili, fermano a mezz’aria un equilibrio più stabile.
Il silenzio si riempie presto di voci, ma prima che il nostro udito riesca ad afferrare il corpo di una parola o di una frase, la pura musicalità delle voci medesime si satura di significato tramite le intenzioni che esse indicano, i diversi caratteri che anticipano. Il fulcro della scena, attorno a cui la parola muove, è guadagnato da un oggetto emblematico: un vecchio baule trascinato in scena da tre donne.
Vi è in questo abbrivio l’anticipazione iconica di un progetto di scena che non muterà: la narrazione è parte integrante dello spettacolo ma lo spettacolo non si esaurisce in essa. Prima di dipanarsi, prepara una lingua propria per poi coagulare metodicamente grumi di racconto e atmosfera, mai disciolti l’uno dall’altra. Come acqua, la parola scivola liquida dal friulano all’italiano standard, dal parlato al canto. Come creta, i personaggi lievitano plastici, poi svaniscono dietro i corpi e i volti delle tre attrici, pronti a riemergere.
Chiara Grillo e Annalisa De Vittor agiscono nelle funzioni di una sorta di coro da teatro classico, impersonando ora la collettività, ora una coscienza impersonale, ora l’interlocutrice particolare di uno specifico episodio. Flavia Valoppi è la narratrice, colei che imprime l’incedere e le pause interne alla vicenda, raccontata ora come cosa antica ora in presa diretta, in un “presente storico”. La materia cruda della guerra viene filtrata dalla prospettiva “bambina” dell’io di allora, in un tempo sospeso che fotografa l’orrore a mezzo di un candore non retorico, una neutralità non ingenua, una zona in cui la consapevolezza piena è rimandata al futuro grazie allo strumento della scrittura.
Senza mai recedere dalla tramatura di un codice molteplice, la drammaturgia elabora il materiale storico di base: il pregio dello spettacolo sta proprio nella composizione fortemente scenica del tema affrontato, la cui delicatezza poteva intimare un trattamento poco incisivo (magari in stile Teatro Documentario). Avviene, anzi, un interessante effetto di inversione, poiché l’intreccio di canto e parola non rappresenta una mera, artificiosa stilizzazione apposta sulla materia viva della vicenda rappresentata. Risponde, in realtà, alla ricostruzione di una cultura dell’oralità a cui la vicenda appartiene precipuamente, dove il canto accompagnava realmente i gesti di una collettività, cadenzava le mansioni cicliche, riempiva le attese pazienti, decantava il dolore.
Il dramma abnorme della guerra viene ripercorso in quei risvolti inaccessibili alle pagine della storia ufficiale, dove si disperdono le vicende private e ancor più le concatenazioni culturali dei singoli drammi. Le donne furono nella Grande Guerra la parte maggiormente, duplicemente ferita, non già in nome di una connaturata fragilità caratteriale o strutturale del corpo femminile, quanto in “virtù” di un tabù sistematico che la cultura patriarcale imponeva loro anche nel momento del dolore più crudele (e criminale). Un dolore privato del diritto minimo di dolere di sé, falsificato nelle forme di uno stigma da coprire, l’onta di un peccato da occultare. Da tacere e chiudere sotto chiave.
Paolo Verlengia
CREDITS:
“Storie Taciute (contis di feminis che son sui libris grainç)”
ideazione e regia Flavia Valoppi
in scena Flavia Valoppi (narrazione) Chiara Grillo e Annalisa De Vittor (canto)
aiuto alla drammaturgia Raffaella Simoncini
contributo ai contenuti Giulia Sattolo
si ringrazia Cristina Mauro
produzione Florian Metateatro / Associazione Musicale e Culturale Città di Codroipo APS ETS
Foto di scena Ionela Mimiteh
Florian Metateatro – Rassegna “Femminile Plurale 2024” (Terza Edizione)