Essere e apparire, lucidità e follia sono le dicotomie pirandelliane che instillano il dubbio circa la verità che sta dietro la realtà delle cose. L’essere umano è come egli si percepisce o come gli altri lo vedono? L’autentica natura delle cose viene camuffata dalla maschera grottesca delle convenzioni che produce sofferenza, ma può anche approdare alla catarsi di una vita coerente con la nuova immagine di sé, in uno sforzo di avvicinamento fra apparire ed essere?
In scena per la prima volta nel 1917, Così è (se vi pare), già tratto dalla novella “La signora Frola e il signor Ponza, suo genero”, è da sempre tra i testi più rappresentati ed emblematici della poetica del drammaturgo di Girgenti, fondata sull’assioma che la verità oggettiva non esiste, nell’epoca in cui si stava affermando la psicanalisi.
Il teatro di Luigi Pirandello suggerì a Giovanni Macchia la teoria della “stanza della tortura” in cui i personaggi sono vittime del mondo e costretti a mettersi a nudo per rivendicare la propria esistenza. Tale visione è rivisitata da Luca De Fusco, che in questa sua sesta regia pirandelliana torna a lavorare per la terza volta con Eros Pagni.
La rappresentazione inizia al buio, mentre Pagni con un gesto della mano invita ad accendere le luci su un ambiente contornato da una struttura grigia con aperture rettangolari che si aprono su un ballatoio, quasi uno spazio metafisico. Sulla destra sedili grigi dove siederanno i curiosi cittadini, come una giuria, a sinistra una sedia anch’essa grigia, dove Pagni interpreta il ruolo di Laudisi indossando un abito grigio chiaro, sul fondo un microfono anni ’20.
Tutto lascia intendere che ci sarà una sorta di processo. E, infatti, la signora Frola e il signor Ponza alternativamente da quel microfono esterneranno ai curiosi compaesani che li sottopongono a stringenti interrogatori, la propria verità, malgrado l’assunto pirandelliano sia fondato sull’assioma che la verità oggettiva non esiste.
Nell’abitazione del consigliere Agazzi (Paolo Serra) la moglie Amalia (Lucia Rocco) e la figlia Dina (Giovanna Mangiù) rivelano alla signora Sirelli (Valeria Contadino) di non essere state ricevute dalla nuova vicina signora Frola (Anita Bartolucci).
La donna vive da sola mentre la figlia e il marito signor Ponza (Giacinto Palmarini) abitano in periferia, essendosi trasferiti dalla Marsica dopo il terremoto. Il genero lavora in Prefettura come collaboratore di Agazzi, ma nessuno ha visto la moglie, e perfino la madre deve appostarsi sotto il balcone sperando che si affacci per comunicare con dei biglietti calati col paniere.
Viene convocata la signora Frola che dichiara di essere la madre della moglie del signor Ponza, che fu travolto da una tale frenesia d’amore per la giovane sposa da metterne in pericolo la stabilità emotiva al punto che divenne necessario ricoverarla. Ritornata a casa in salute, il marito non la riconobbe, ma ritenendola un’altra donna pretese un nuovo matrimonio e da allora la tiene chiusa in casa per paura di perdere anche lei.
Il genero, chiamato anch’esso alla sbarra, sostiene di essersi risposato dopo la morte della moglie ma deve tenere lontana la suocera, impazzita di dolore, che ritiene che la nuova moglie sia sempre sua figlia. È pazza la signora che crede la figlia viva o è pazzo il marito che crede di aver sposato una nuova donna? Entrambe verosimili, le due versioni sono incompatibili, ma i documenti sono andati persi nel terremoto e la verità oggettiva non può essere appurata.
Mentre tutti si affannano ipotizzando pruriginose illazioni, soltanto Lamberto Laudisi, cognato del consigliere, rimane equidistante e indifferente alla spasmodica ricerca di riscontri, consapevole che la realtà è soggettiva e non confutabile.
A dirimere la questione interviene il prefetto e viene chiamata a svelare la verità la signora Ponza, che, avanzando dal fondo della platea avvolta in un velo, suggella l’ineluttabilità del dubbio sussurrando “Per me, io sono colei che mi si crede’’ mentre gli astanti seminascosti sul ballatoio alzano rassegnati le braccia al cielo e Laudisi conclude sarcastico “Ed ecco, o signori, come parla la verità…Siete contenti?”. Il processo si conclude senza una sentenza certa.
Eros Pagni non si sposta dall’estremità sinistra del palcoscenico, presenza defilata eppure immanente nel ruolo di osservatore esterno che non si fa coinvolgere da curiosità e pettegolezzi, ironico e consapevole che la realtà è soggettiva e ha tante sfaccettature, e giganteggia recitando per sottrazione. Reciprocamente compassionevoli Anita Bartolucci e Giacinto Palmarini nel ruolo di Frola e Ponza, in sintonia tutti gli interpreti, compresi Domenico Bravo, Roberto Burgio, Plinio Milazzo e Irene Tetto.
Potente la messinscena di Luca De Fusco che assume quasi la connotazione di un giallo in una ambientazione monocromatica e claustrofobica disegnata da Marta Crisolini Malatesta che cura anche i costumi, luci di Gigi Saccomandi, scelte musicali di Gianni Garrera.
Afferma il regista: “Per me è quasi una chiusura del cerchio considerando che, dopo aver tanto studiato Pirandello, interpretandolo spesso proprio alla luce della teoria della “stanza della tortura” che Giovanni Macchia scrisse attorno al Così è (se vi pare) diretto da Giorgio De Lullo nel 1974, approdo infine a questo testo, uno dei più compiuti sotto ogni punto di vista e quello in cui diventa più che mai chiaro il senso del “teatro come processo”. Nel rispondere agli altri e nel dialogare tra loro, la signora Frola e il signor Ponza non hanno infatti più bisogno di fingere che il pubblico non esista: è anzi al pubblico che parlano, ognuno difendendo se stesso e cercando di dimostrare i difetti e la pazzia dell’altro”.
Tania Turnaturi