Giorgio Gallione, regista e drammaturgo di esperienza, torna a dirigere lo spettacolo messo in scena nel 2000 tratto dal concept album omonimo di Fabrizio De Andrè, pubblicato nel 1970, ispirato ad alcuni brani narrativi degli evangelisti apocrifi e del loro racconto sull’infanzia e sulla vita di Gesù.
De Andrè, poeta e musicista, ne parla così: «un’allegoria che si precisava nel paragone fra le istanze migliori e più sensate della rivolta del ’68 e istanze – da un punto di vista spirituale sicuramente più elevate, ma da un punto di vista etico sociale direi molto simili – che un signore, 1969 anni prima, aveva fatto contro gli abusi del potere, contro i soprusi dell’autorità, in nome di un egalitarismo e di una fratellanza universali. Si chiamava Gesù di Nazaret, e secondo me è stato ed è rimasto il più grande rivoluzionario di tutti i tempi».
Protagonista della pièce Neri Marcorè, attore e cantante di grande talento che ha portato per un decennio nei palcoscenici italiani la musica del cantautore genovese, in un’alternanza di intermezzi di parlato-recitato e di canzoni, esegue con padronanza i brani musicali con il tratto morbido della voce, delinea raffinate rotondità emotive che, unite a una lirica semplice e diretta, emozionano il pubblico.
Marcorè recita e fa rivivere De Andrè con un forte estro di narratore, affiancato in scena da un nutrito gruppo di musicisti: Rossana Naddeo (voce e chitarra), Giua (voce e chitarra), Barbara Casini (voce, chitarra e percussioni), Anais Drago (violino e voce), Francesco Negri (pianoforte), Alessandra Abbondanza (voce e fisarmonica).
Il concerto-spettacolo tratta della Passione di Cristo rappresentata dalla parte di Maria, data in sposa ancora adolescente a un vecchio falegname dal quale viene presto lasciata sola, ancor prima dell’apparizione dell’Angelo, e racconta l’infanzia di Gesù, svelando un bambino anche impulsivo, che si serve dei suoi poteri talvolta per esibizionismo, prestando poi attenzione a figure minori quali Tito e Dimaco, crocefissi insieme a Gesù, e alle loro madri che si uniscono al dolore di Maria per il destino che attende il figlio. Al brano “Il Testamento di Tito”, che attraverso la voce del ladrone buono sulla croce rilegge in chiave critica i dieci comandamenti, è affidato lo struggente tentativo di riscatto degli emarginati, dei «perdenti» che il mondo, da sempre, lascia indietro nella inarrestabile sete di potere degli uomini.
Tra gli altri brani celebri eseguiti l’ “Ave Maria”, considerato uno dei manifesti della protesta femminile degli anni Settanta e lo struggente brano “Il sogno di Maria”, testi che ancora oggi hanno una grandissima forza evocativa.
La partitura teatrale di Gallione aggiunge una dimensione nuova al lavoro originale, senza però sacrificare la profondità delle composizioni originali e il messaggio di De Andrè racchiuso in un’opera complessa che vuole sfidare l’arroganza dell’autoritarismo e ogni limitazione del pensiero con il linguaggio anticonformista dell’ironia.
Roberta Daniele