“L’albergo dei poveri” andato in scena fino allo scorso 23 aprile al teatro Donizetti di Bergamo è stato rappresentato per la prima volta nel lontano 1902 con diversi titoli: “I bassifondi”, “Sul fondo”. Cosicché il grande dramma corale di Maksim Gor’kij nella riduzione teatrale di Emanuele Trevi – ribatezzato da Giorgio Strehler: “L’albergo dei poveri” in occasione della regia con cui inaugurò il Piccolo Teatro di Milano nel maggio del ‘47- è stato riproposto con quest’ultimo titolo dal regista ed interprete Massimo Popolizio (bravissimo nei panni di Luka, il pellegrino) “in virtù del suo valore emblematico e poetico, oltre che storico”. Con l’opera di Gor’kij si chiude una bellissima stagione di prosa.
Il senso è e rimane quello di una storia come tante che se ne vedono in giro ogni giorno dove il filo conduttore è dato dall’estremo disagio vissuto dalle tantissime persone che si trovano in questa condizione veramente precaria, loro malgrado. Le vicissitudini patite dal popolo che non ha nulla, del resto, sono e rimangono sempre e comunque le stesse. I poveri dell’inizio del secolo scorso non sono poi tanto dissimili da quelli che ritroviamo adesso tra le vie di una grande o piccola città. E’ la condizione di tutti i coloro che devono sbattersi letteralmente pur di concludere una giornata fatta di nulla, che gli consenta di poter sopravvivere quantomeno dignitosamente fino al giorno successivo. Un povero diventato tale per situazioni che gli sono accadute durante il corso della sua esistenza da ridurlo a malpartito e chi magari lo è stato da sempre, vive, magari, dell’”opportunità” di ricevere un tozzo di pane che qualche animo altruista gli concede, semmai questo accada.
Popolizio riesce a descrivere con i suoi attori (bravissimi tutti) la quotidianità di chi riesce a stare in questa condizione di non ritorno ambientando la storia dentro ad un dormitorio dove finanche chi lo gestisce: il proprietario Michail Kostylev (un bravo Francesco Giordano) non è che viva la migliore delle vite possibili; Kostylev vive assieme alla moglie Vasilisa (una fantastica Sandra Toffolatti) donna prevaricatrice e senza scrupoli che sospingerà la situazione fino alle sue estreme conseguenze.
Ecco dunque come il dramma si fa corale perché investe ogni aspetto della vita di ciascuno di questi individui che vivono insieme e dove ognuno si sforza di fare la propria parte pur di far passare “a jurnata”, prendendo a prestito un termine napoletano. Racconti che s’intrecciano gli uni agli altri senza soluzione di continuità in modo prepotente in una realtà complessa e difficile dove poter essere in grado di vedere l’alba del giorno seguente diventa già di per sé una ricchezza! Ne sa qualcosa Anna (Zoe Zolferino), la moglie di Klesc il fabbro (straordinario Michele Nani) che malata da tempo vive i giorni che la separano dalla morte nel dolore e nella solitudine anche di un marito che convinto oramai dell’ineluttabilità dell’imminente “trapasso” della propria compagna preferisce tradirla impunemente con Kvasnjia (una straordinaria Silvia Pietta) un ex prostituta che invece rivela tutta la sua umanità stando vicino alla donna malata rimproverando aspramente e respingendo al mittente quell’omone che la insediava, avido di ottenere il facile godimento di un attimo fuggente.
Il dramma corale è stato talmente coinvolgente nel pubblico da calarsi per oltre un’ora e mezza nei bassifondi di Mosca per assistere a delle storie di “ordinaria amministrazione” tra coloro i quali conducevano una vita malsana, sporca, non foss’altro perché quei luoghi in cui erano stipati, gli uni accanto agli altri, erano ovviamente sudici e dove puoi pure munirti anche di scopa e paletta per far le pulizie e restituire così un po’ di “decoro” in un ambiente – oltretutto del tutto inutilmente – in cui proprio il decoro non ci sta di casa…
Popolizio ha dunque regalato momenti intensi al suo pubblico, di grande liricità, da consegnare delle emozioni uniche, talvolta pure ammantate da qualche sorriso, sia pure dal gusto amaro.
E, come ogni dramma che si rispetti, tutto si conclude con l’uccisione per mano del ladro Pepel (un grande Raffaele Esposito) del proprietario del dormitorio che vedendosi negare il diritto di poter avere come compagna Natasa,la sorella di Vasilisa (una grande Damiana Ferrero) si vendica accoltellando Kostylev.
Ogni personaggio ha una sua peculiarità e un suo modo d’essere, tutti degni di essere menzionati come Il Barone (Giovanni Battaglia), il baro (Aldo Ottobrino) Bubnov (il pellicciaio), Il Principe (simpaticissimo Martin Chishimba), Aleska (Gabriele Brunelli), Medvedev, la guardia (Marco Mavaracchio), l’attore, (Luca Carbone) e Nastja (Carolina Ellero). Cercando di non dimenticare le scene di Marco Rossi e Francesca Sgariboldi, i costumi di Gianluca Sbicca, le luci di di Luigi Biondi, il disegno del suono di Alessandro Saviozzi, i movimenti scenici di Michele Abbondanza, il trucco e parrucco di Barbara Petrolati e l’assitente alla regia di Tommaso Capodanno per una produzione del Teatro di Roma, Teatro Nazionale, Piccolo Teatro di Milano e Teatro d’Europa.