Teatri di Pistoia – Centro di Produzione Teatrale presenta
IL GIUOCATORE (di Carlo Goldoni)
Adattamento e Regia Roberto Valerio
con Alessandro Averone, Mimosa Campironi, Alvia Reale, Nicola Rignanese, Massimo Grigò, Davide Lorino, Roberta Rosignoli, Mario Valiani
Scene e Costumi Guido Fiorato
Musiche Originali Mimosa Campironi
Luci Emiliano Pona
4-14 Aprile Teatro Sala Umberto (Roma)
Diffusissimi erano, nella Venezia del Settecento, i Ridotti, locali notturni annessi ai teatri specifici, nei quali i giuocatori come Florindo, dilapidavano tutti i loro averi. Florindo Aretusi, giocatore incallito, interpretato da un Alessandro Averone ben calato dentro la parte, a livello fisico e nell’espressione emotiva del disagio, si affanna da una parte all’altra dello scenario del palco, costruito con un’attrattiva portuale di prospettiva fanciullesca, nel tentativo di far propria la fortuna più ambita dal tavolo da gioco: il colpo grosso che cambia il corso di una vita. Ma c’è quel maledetto 7 che lo perseguita e che ogni volta lo illude, stecchendolo letteralmente nella sconfitta.
E’ così che perde tutti i suoi averti ed è così che Goldoni, nel 1750, con tanto di esperienze personali, scrive la nota commedia, per metterla poi in scena l’anno seguente. Ammoniscono Florindo, alla pari, Pantalone dè Bisognosi, mercante veneziano, e il direttore del Casinò Pancrazio (Nicola Rignanese, nel personaggio più divertente), che non si dà per vinto nel tentativo di abbandonarsi al piacere con la furba Gandolfa, sorella “passatella” dello stesso Pantalone.
C’è poi Rosaura, figliola di Pantalone, nonché promessa sposa di Florindo, la quale tenta in ogni modo di persuadere il giocatore ad abbandonare il tavolo da gioco e le carte, invano, per mezzo dell’affettività passionale che non esita ad ogni incontro a dimostrargli. Florindo arriva persino a chiedere zecchini alla ricca Gandolfa (la Gandolfina soprannominata giocosamente da Pancrazio), quando tutto sembra essere perduto addentro a quei meccanismi psicologici infernali tipici del giuocatore, conscio che il processo di avvicinamento alla signora, vogliosa di certe attenzioni giovanili, consta tuttavia di un contatto intimo richiesto sfacciatamente dalla stessa Gandolfa. Il sesso in cambio di denaro, una costante che accompagna molte commedie di stampo e statura classica.
E l’amore infingardo, al cospetto delle dinamiche di convenienza, che si stempera nell’illusione del “e vissero felici e contenti..” appresso a ipotesi di matrimonio di pura convenienza economica. Il ballo e il canto, componenti che allietano i conflitti interni alla commedia, in una sana dose di bonarietà mista a tragedia tipica goldoniana, subentrano invece per mezzo di contributi musicali offerti dall’attrice Mimosa Campironi, interprete di Rosaura. Sono delle brevissime felicitazioni che se meglio sviluppate, avrebbero potute conferire allo spettacolo una maggiore originalità. Il lavoro di adattamento di Roberto Valerio si affida totalmente alle peculiarità sempre attuali del testo e alle scelte degli attori, tutti addentro alle parti (a tal proposito, sono molto divertenti i ruoli dei giuocatori sbeffeggiatori di Tiburzio, Lelio e Agapito, interpretati da Mario Valiani e Massimo Grigò). Questo avviene in considerazione del non voler spingersi entro territori desueti rispetto alla classicità, da parte dell’autore.
Ne consegue una rappresentazione che fatica a carburare e a coinvolgere appieno e che nella seconda parte, crescendo di tono e ritmo, migliora la coesione tra le parti, con l’approssimarsi del pathos che il destino da giuocatore incallito di Florindo, fa avvicinare alla considerazione che il pubblico può consapevolmente avere al riguardo. Il vento dolce e velenoso dell’illusione al di sopra di tutto confonde ogni cosa, facendo perdere di vista gli obiettivi concreti del presente; elementi che sfuggono al controllo di Florindo che continua a mentire a se stesso, nel tentativo di liberarsi dal demone della dipendenza dal gioco. Il vento dell’illusione continua ad investire i giocatori da tavolo da gioco e quelli di sentimenti, nei secoli dei secoli, senza sostanziali cambiamenti di prospettiva. Almeno fino a che non si acquisirà una prospettiva diversa della realtà che si contribuisce costantemente a farsi vivere.
Federico Mattioni