Uno dei titoli migliori della stagione Sconfinamenti: Jenůfa di Leoš Janáček con la regia di Claus Guth (migliore produzione operistica agli Olivier Awards 2022) in scena al Teatro dell’Opera di Roma (in scena fino al 9 maggio) è un vero capolavoro che emoziona il pubblico.
La messinscena di Guth è semplicemente perfetta, sostenuta dall’attenta direzione musicale di Juraj Valčuha che offre risalto alla musica bellissima, meravigliosa e a tutte le sfumature e sfaccettature psicologiche del dramma, di rilievo il cast che annovera Cornelia Beskow nel ruolo del titolo e la grande Karita Mattila nel ruolo di Kostelnička.
Guth porta in scena una spettacolo che rasenta la perfezione, in pieno equilibrio sotto il profilo musicale e dal punto di vista visivo.
Pensa a una messinscena fortemente realistica della società rurale slovacca che viene immaginata come un microcosmo (con i pregiatissimi, scuri e severi costumi di Gesine Völlm e le luci di James Farncombe) con le scena di Michael Levine che realizza imponenti, alte mura di legno che fungono da grata, che delimitano la scena i isolano i personaggi, dove la stanza di Jenůfa viene costruita come una gabbia con i letti in ferro. L’impianto moderno e verista di Guth sostiene una regia drammatica che lascia ben poco spazio ai simbolismo e alle metafore eccezion fatta forse per il corvo che anticipa la maledizione e il destino dei personaggi in scena e per il rumore ossessivo e ripetitivo del mulino.
Capolavoro del realismo slavo che conclude il progetto triennale dedicato dal Costanzi a Janáček, realizzato dalll’Opera in collaborazione con la Royal Opera House di Londra, Jenůfa racconta una vicenda a dir poco agghiacciante, ma in certo senso popolare che porta in scena un infanticidio e sullo sfondo l’intrecciarsi di amore, onore, fino alla redenzione e perdono.
Sullo sfondo una società che si perpetua sempre uguale a sé stessa, come una macchina rituale, metaforicamente richiamata dal rumore ossessivo e ripetitivo del mulino: la società è sempre la stessa e sembra voler imporre gli stessi errori anche a Jenůfa che cerca e trova il suo riscatto nella società, alla ricerca di un mondo più libero.
La partitura di Janáček è potente, un flusso ininterrotto che sembra parlare direttamente all’anima, che lascia emergere il dolore che attraversa l’intera opera, ma resta una partitura strutturata in funzione narrativa: bravissimo Juraj Valčuha che offre una lettura moderna e fortemente drammatica, ma sempre coinvolgente nella sua asciuttezza e nel seguire ogni sfumatura psicologica ed emotiva dei personaggi.
Di grande statura non solo vocale, ma anche interpretativo il cast a cominciare dalla protagonista, il soprano svedese Cornelia Beskow, bellissima, esile presenza scenica e magnifica voce, che delinea una Jenůfa di infinita dolcezza, ma al tempo stesso dal temperamento forte. Altrettanto grandiosa la Kostelnicka di Karita Mattila, severa matrigna di Jenůfa che agisce in nome del bene della donna, il tenore Robert Watson è l’ubriacone, donnaiolo e superficiale Steva mentre Charles Workman interpreta al meglio i tumultuosi tormenti dell’animo di Laca. Spettacolo perfetto ed emozionante da non perdere, ultima replica il 9 maggio.
Fabiana Raponi