Segesta Teatro Festival
Direzione artistica Claudio Collovà
Oreste di Euripide
regia e adattamento Danilo Capezzani
con Gabriele Cicirello, Lia Grieco, Iacopo Nestori, Paolo Madonna, Danilo Capezzani, Francesca Trianni
costumi Laura Giannisi
impianto scenico Danilo Capezzani
assistente alla regia Mariachiara Basso
foto di scena Manuela Giusto
produzione Compagnia Mauri Sturno
con il patrocinio dell’Accademia Nazionale d’Arte Drammatica Silvio d’Amico
Durante il Segesta Teatro Festival, sotto la direzione artistica di Claudio Collovà, è andata in scena la tragedia di Euripide, “Oreste”, in prima nazionale domenica 28 luglio 2024, con la regia di Danilo Capezzani.
Nella suggestiva cornice del teatro greco al tramonto, in un’atmosfera quasi sospesa e di sacrale bellezza, si consuma la tragedia di Oreste, protagonista insieme alla sorella Elettra dell’uccisione della madre Clitennestra. Sin dall’antichità, i due fratelli Oreste ed Elettra sono al centro di innumerevoli opere, spingendo a riflettere sulla forza dell’odio, della vendetta, ma anche sul senso di colpa e sulla libertà d’azione.
La scia di sangue inizia ben prima di Oreste: l’intera stirpe di Agamennone, il prode e arrogante capo degli achei, è macchiata dalla colpa e dalla morte. I figli non possono sottrarsi a tale destino.
Clitennestra ha assassinato il marito Agamennone per vendicare il sacrificio della figlia Ifigenia. Oreste, tornato dall’esilio con l’amico Pilade, si allea con la sorella Elettra per vendicare la morte del padre. Odio, vendetta e rimorso sono gli ingredienti di una delle più affascinanti trame mitiche dell’antica Grecia.
Il regista, partendo da Euripide, compie un’interessante indagine sul dolore, sulla solitudine della famiglia e sulle sue responsabilità come istituzione sociale, riuscendo a esplorare il repertorio classico, attualizzandone i temi e la messinscena. Dal dramma di Oreste, in preda al delirio e consumato dal rimorso per aver assassinato la madre con la complicità di Elettra e dell’amico Pilade, si passa allo scontro brutale con chi – come lo zio Menelao e il nonno Tindaro – potrebbe aiutarlo a sfuggire alla condanna a morte ma non lo fa. La disperazione spinge i tre giovani a tentare l’omicidio dell’odiata Elena, adultera moglie di Menelao, e poi al sequestro della piccola cugina Ermione: un impietoso affresco di spietatezza e ferocia che delinea una società malata, in cui la violenza sembra l’unica risposta possibile.
Oreste, Elettra e Pilade rappresentano una generazione perduta, vittime lucide di una spirale di violenza che li spinge a continuare a compiere delitti. Interessante è l’interpretazione di Oreste, attanagliato dai rimorsi e dalla paura del giudizio, percorso da attimi di folle rabbia e poi di totale sconforto e abbandono, come a voler enfatizzare la dicotomia dell’animo umano, lacerato e senza tregua. L’unico conforto di Oreste è l’affetto sincero della sorella Elettra e di Pilade, suo più caro e fedele amico. Molto suggestiva è la scena corale del giudizio dei due fratelli matricidi, che si rivolgono al pubblico come fossero imputati in un’aula di tribunale a cielo aperto. La rappresentazione culmina con l’apparizione di uno sfolgorante Apollo, deus ex machina, che annuncia il destino dei protagonisti e la fine della vicenda.
Eva Lipari