Successo di pubblico per la favola di Puccini che si trasforma nel sogno di una hikikomori nell’allestimento Francesco Micheli con progetto scenografico di Massimiliano e Doriana Fuksas. Repliche fino al 10 agosto
C’era una volta una hikikomori… potrebbe essere questo l’incipit della Turandot di Puccini, proposta con il finale incompiuto che si ferma al compianto per la morte di Liù, si trasforma in un’avvincente fiaba contemporanea in scena al Caracalla Festival 2024 nel nuovo allestimento con la regia di Francesco Micheli su progetto scenografico di Massimiliano e Doriana Fuksas.
Seconda opera dell’ideale dittico pucciniano, che si alterna con Tosca, in omaggio al centenario della morte del compositore, la la Turandot di Micheli/Fuksas diventa una fiaba moderna che parte da un reale fenomeno di isolamento sociale e volontario, l’hikikomori, termine coniato originariamente per l’esattezza in Giappone (anche se dovremmo essere in Cina con la Turandot), ma che si è tristemente diffuso a livello internazionale per indicare l’isolamento sociale volontario di giovani che si isolano vivendo solo ed esclusivamente davanti al computer.
Micheli pensa a una Turandot moderna, dove la principessa di ghiaccio è protagonista di un videogioco nonché avatar virtuale di una ragazza che si isola dal mondo rinchiudendosi nella sua stanza, incapace di relazionarsi con il mondo. A sciogliere il ghiaccio della principessa, il principe Calaf, un giovane senza nome, un principe che non è dotato di profilo social e che ha scelto il reale e non il virtuale.
Il progetto scenografico ideato da Massimiliano e Doriana Fuksas, prestigiosa firma della stagione estiva, che abbiamo visto anche in Tosca, funziona bene, anche benissimo per il mondo fantastico e irreale di Turandot: la lunga scena pulita ed essenziale, impervio frattale geometrico, di un abbacinante bianco, si addice in tutta la sua duttilità a ospitare i colorati personaggi di un videogioco, fra avatar di fattezze orientali o dotati di maschere, proiezioni e luci, usciti dall’immaginario di un’adolescente.
La fiaba cinese senza tempo diventa una parabola contemporanea trasformata in un videogioco e funziona molto bene anche perché gli spettatori, mai spaesati, vengono introdotti alla rilettura dell’opera fin dall’inizio dalle parole del padre di Turandot, ragazzina che partecipa animatamente e con vistoso pathos al suo videogioco, con divisa da scolaretta e capelli raccolti stile personaggio manga.
E nonostante le molte libertà dell’allestimento, in cui tutto suggerisce di essere dentro un grande videogioco (dalle proiezioni degli avatar sulle torri alle percentuali di streaming e di vita ai comandi della giocatrice) ogni cosa mantiene il suo ordine, e tutto sembra possedere la giusta collocazione, complice anche la coesione dello stesso team creativo di Micheli visto in Tosca, la drammaturgia di Alberto Mattioli, i costumi di Giada Masi, le luci di Alessandro Carletti, i video di Luca Scarzella, Michele Innocente e Matteo Castiglioni, movimenti coreografici di Mattia Agatiello. La dolcissima schiava Liù, esaltata dalla meravigliosa e toccante voce di Maria Grazia Schiavo, una delle migliori in scena (si alterna con Juliana Grigoryan)
diventa un’incantevole geisha con un kimono bianco e rosa e la sua morte diventa uno dei momenti più toccanti e poetici dell’opera, metaforicamente pugnalata con delicati fiori bianchi da un ideale coro di donne con la maschera di bianco vestite. Calaf, il principe senza nome, è di nero e argento vestito, esaltato dalla sicura presenza scenica dell’apprezzato tenore americano Brian Jagde (si alterna con Luciano Ganci), voce possente e decisa, Turandot entra in scena imponente, nascosta in una sorta di abito che simula una impenetrabile montagna di ghiaccio da cui fuoriescono i guanti blu, con la solida voce della star americana Angela Meade (al debutto a Caracalla che si alterna con Lise Lindstrom, grandissima Salome di Strauss al Costanzi). Spassosi, come da libretto e da tradizione, Ping, Pang e Pong Haris Andrianos, Marcello Nardis e Marco Miglietta, coloratissime e vivaci figure in scena. Sempre eccellente il coro di Ciro Visco, parzialmente collocato in buca accanto all’Orchestra del Teatro diretta correttamente da Donato Renzetti, forse più a suo agio nella grande tradizione del repertorio verdiano e meno avvincente nella modernità di suoni dell’ultimo lavoro di Puccini.
La Turandot di Micheli/Fuksas piace al pubblico e convince anche perché trattandosi di una fiaba senza tempo e senza luogo risulta essere più duttile nella sua adattabilità: non ci sono cineserie di sorta, come da conclamata tradizione, e nella sua purezza la versione in scena è quella incompiuta di Puccini che si conclude giustamente con il compianto per la morte di Liù. Forse ancora più apprezzata rispetto alla Tosca, parabola senza tempo sul potere e con cui si alterna in scena, è in replica anche martedì 6 agosto, giovedì 8 agosto, sabato 10 agosto sempre con inizio alle ore 21.00. Info e dettagli su www.operaroma.it.
Fabiana Raponi