recensione
L’Equivoco stravagante
Dramma giocoso in due atti di Gaetano Gasbarri, musica di G. Rossini
A cura di Giosetta Guerra
L’equivoco stravagante
è un’opera gradevolissima, allestita e cantata molto bene al Teatro Rossini di Pesaro.
Tutti i cantanti hanno evidenziato di saper cantare sul fiato, eseguire la coloratura, alleggerire, ammorbidire e spingere secondo la prassi esecutiva rossiniana. Mattatore della serata è stato il baritono Nicola Alaimo nel ruolo di Gamberotto, padre di Ernestina.
La padronanza del palcoscenico, la qualità della voce (bel colore, grande spessore, estensione, notevole peso), la dimestichezza con lo stile rossiniano, la capacità di interpretare ruoli di carattere, uniti alla lettura satirica del regista, gli hanno permesso di costruire un grande personaggio. Molto brava Maria Barakova nel ruolo di sua figlia Ernestina. Dotata di una grande voce di mezzosoprano in grado di affrontare con sicurezza una tessitura acuta stellare e prorompente e appoggi gravi di notevole spessore, attraverso una zona centrale morbida e ben proiettata, ha facilità anche nello sciorinamento della coloratura rossiniana. Vocalità decisamente rossiniana quella del tenore Pietro Adaini nel ruolo dell’amoroso Ermanno, tenore contraltino dal suono chiaro, squillante e sicuro, esegue bene acuti sostenuti e fa uso della messa di voce.
Il baritono Carles Pachon, nel ruolo di Buralicchio giovane ricco e sciocco, promesso sposo di Ernestina, ha una gestualità esuberante, atta a sottolineare la ridicolaggine del personaggio, usa una voce di bel colore, estesa, duttile, a fini espressivi. Dei due servitori il tenore Matteo Macchioni (Frontino) ha voce preparata al canto rossiniano, il soprano Patricia Calvache (Rosalia) usa bene una voce piccola nella tessitura media che si ingrandisce nelle espansioni acute.
Formidabile sia vocalmente che scenicamente, il Coro del Teatro della Fortuna di Fano, preparato da Mirca Rosciani. Fantastica l’Orchestra Filarmonica Gioachino Rossini, sempre presente e mai invadente, diretta dal Maestro Michele Spotti.
Gradevole la regia di Moshe Leiser e Patrice Caurier, che tinge di sottile ironia tutti i personaggi, in tutte le scene, in tutte le situazioni, tranne nei duetti finali dei due innamorati, in cui prevale il sentimento. Originale l’uso scenico del coro. La scenografia si basa su un interno con pareti ricoperte da carta da parati e un particolare quadro che alla fine si trasforma in finestra per lasciar vedere ciò che accade all’esterno della casa (scenografo Christian Fenouillant). Adeguati i costumi d’epoca di Agostino Cavalca, molto caratterizzante il disegno delle luci di Christophe Forey.
Ci siamo proprio divertiti.