Il NUOVO TRISTAN DEL FESTIVAL DI BAYREUTH
Come ogni estate si torna sulla Grüner Hügel, la“collina verde” di Bayreuth, per la Festspiele che ogni anno celebra il genio wagneriano fra grandi momenti di teatro musicale e sprazzi di bel mondo. La rassegna unisce infatti alla straordinaria qualità delle performance wagneriane risvolti mondani e sociali che creano un ambiente unico e affascinante. Questo agosto si è assistito alla nuova produzione di Tristan und Isolde, affidata alla cura del regista islandese Thorleifur Örn Arnarsson. Il Tristan, tre lunghi atti in cui non succede praticamente niente, è sempre una sfida. Non ci sono elementi dinamici a cui la regia possa appigliarsi. Tutto il dramma è interiore, proiettato verso un carico emotivo immenso. Arnarsson e il suo scenografo Vytautas Narbutas inseriscono questa grande tensione in grandi tableaux. Il primo atto si svolge sulla coperta di un vascello, con le sartie che pendono dal soffitto e ricadono sulle assi vuote della tolda. Buio e brume di nebbia. È la
nave che porta Isolde verso la Cornovaglia? La stessa Isolde sta al centro della scena. Scrive parole con un pennello nero sul suo immenso vestito nunziale (costumi di Sibylle Wallum). Sembra un fiore gigantesco circondato da una corolla di tessuto bianco. La carena svuotata
di una nave in rovina ospita il secondo atto. Sullo sfondo i macchinari della sala macchine. Il resto è uno strano assemblaggio di cianfrusaglie. In questo caos si intravedono una pittura di Caspar David Friedrich, due cariatidi che sorreggono un balcone, un mappamondo. Quasi un museo di storia della civiltà. La vista è imponente, forte il rosso ruggine delle pareti disfatte della chiglia, ma con lo scorrere del tempo il tutto diventa un poco monotono. La grande notte di passione dovrebbe esplodere in questo mucchio di antiquariato assortito. Ma lo slancio amoroso pare non deflagrare. Resta trattenuto, e i due rimangono a distanza anche nel momento clou del grande duetto. Il terzo atto accentua il crescente disfacimento della nave. Ormai resta solo il fasciame. Quasi una gigantesca cassa toracica che con le sue costole racchiude la conclusione della vicenda. La progressiva rovina della nave rimanda forse al trascorrere del tempo e della nostra vicenda? Anche le carabattole sono diminuite di volume, ne resta un cumulo al centro della scena, su cui spirerà Tristan.
Se la regia di Arnarsson non provoca brividi intellettuali o emozioni forti (anche la recitazione è a tratti piuttosto statica), la parte musicale è di grande eccellenza. Semyon Bychkov, che avevamo già ascoltato dirigere il Parsifal del 2019, conduce la Festspielorchester con mano sapiente e alla fine sarà applauditissimo. Il direttore russo, trasferitosi in Occidente fin dagli anni Settanta, naviga uno stretto crinale e evitando sia accelerazioni inutili che cali di tensione. Detta tempi larghi e sontuosi che mettono in risalto e i colori e i cromatismi del Tristano, magnificati dalla eccezionale acustica della Festspielhaus. Una festa per i sensi, in cui i legni suonano vellutati e pastosi. La direzione di ychkov lascia grande spazio ai cantanti, che si somma allo spazio già concesso dalla regia di Arnarsson. E qui emerge la grandezza del cast di Bayreuth. In fondo è per questo che tutti le estati si torna sulla Collina Verde. Andreas Schager, un beniamino del pubblico del Festival (questa stagione oltre a Tristan canta anche il Parsifal in 3D), è un vero Heldentenor wagneriano, monumentale per voce e potenza di emissione. Una performance che diventa commovente quando nel terzo atto rimanda la sofferenza infinita di Tristan morente. Molte Isolde sarebbero sopraffatte dai volumi del tenore austriaco, ma Camilla Nylund gli tiene testa facendo leva sulla sua voce ricca di lirismo e immergendosi alla perfezione nel ruolo. Il suo Liebestod argenteo e ammaliante, accompagnato con sapienza da Bychkov, varrebbe da solo il viaggio fino a Bayreuth. Il mezzosoprano Christa Mayer canta una Brangäne di grande forza espressiva e si ritaglia uno spazio accanto a Isolde, mentre Olafur Sigurdarson rimanda con voce baritonale un Kurwenal virile e inutilmente devoto al suo cavaliere. Bene anche il basso Günther Groissböck, che restituisce tutta la sofferenza e la rabbia di re Marke, e Birger Radde nei panni malevoli di Melot. Eccellente, al solito, la performance del coro del Festival istruito da Eberhard Friedrich. Quando cala il sipario del terzo e ultimo atto il pubblico festeggia con entusiasmo tutti i protagonisti di questo Tristan, con applausi particolarmente calorosi per i due protagonisti e
per Semyon Bychkov.