Al Teatro Quirino di Roma fino al 3 novembre 2024
Approda sul palcoscenico il più famoso romanzo distopico del Novecento che ha preconizzato come il potere possa fagocitare ogni libertà, conculcare il diritto di pensare e amare, dichiarare sentimenti e cultura reati da pena di morte.
Eric Arthur Blaire, noto con lo pseudonimo di George Orwell, nato in India e vissuto nel Regno Unito, attivista politico dissidente, nel suo ultimo romanzo “1984” ha immaginato uno scenario futuristico totalitario, non troppo inverosimile nemmeno nella società contemporanea, dominata dalla tirannia dei social-media e della tecnologia.
L’adattamento di Robert Icke e Duncan MacMillan, attualizzato e con un finale che prelude a una possibilità di riscatto, arriva in scena nella traduzione di Giancarlo Nicoletti, che cura anche la regia, con Violante Placido, Ninni Bruschetta e Woody Neri.
In un anno del prossimo futuro, alcuni storici scoprono il diario scritto nel 1984 dal compagno 6709, Winston Smith, che per il Ministero della Verità trascrive i testi nel lessico della “neolingua” che non contiene termini sgraditi al partito e impedisce il pensiero critico. Il mondo è diviso in tre potenze totalitarie in guerra permanente fra loro: Eurasia, Estasia ed Oceania con capitale Londra governata dal Grande Fratello, che tutto vede con le telecamere installate nelle case, ma nessuno conosce. Il Partito vigila sull’espressione del pensiero attraverso la Psicopolizia, per eliminare il dissenso. La verità è dettata dal partito, anche se contraddittoria rispetto a una versione precedente, annullando il concetto di Storia. L’unica forma di pensiero ammissibile è il “bispensiero” che fa credere a due versioni contrapposte, allo scopo di non percepire le falle logiche della propaganda.
Winston scrive clandestinamente un diario e mette a rischio la propria esistenza innamorandosi di Julia, pur sapendo che bisogna dubitare anche di se stessi, essendo il pensiero manipolato, in un mondo in cui due più due non fa quattro ma la cifra che decide il partito.
La coppia sceglie di aderire a un’organizzazione dissidente clandestina, che si rivela essere una trappola della Psicopolizia. Winston viene torturato nella famigerata stanza 101 della prigione del Ministero dell’Amore fino a perdere la capacità di pensare autonomamente, e rinnega l’amore per Julia.
Il romanzo, pubblicato nel 1948, è frutto della viscerale avversione di Orwell, anarchico socialista e vittima delle persecuzioni staliniste nella guerra civile spagnola, verso i totalitarismi che imponevano cieca obbedienza ai partiti e ai loro capi, negli anni successivi alle due guerre mondiali. L’attualità profetica di “1984” è riscontrabile anche oggi nell’omologazione del pensiero di massa, nella privazione della privacy, nelle fake news che sovvertono la verità oggettiva, nella corruzione asservita al potere.
La regia di Giancarlo Nicoletti sviluppa una spirale di tensione che si innerva in una pervasiva sensazione di oppressione e di ineluttabilità, amplificata dal linguaggio ossessivamente ripetitivo, dall’esito combinato degli effetti speciali della scenografia di Alessandro Chiti, del disegno video di Alessandro Papa che proietta le immagini degli incontri amorosi da diverse angolazioni a circuito chiuso, dello straniante disegno luci di Giuseppe Filipponio e delle musiche inquietanti di Oragravity. A sipario chiuso, il pubblico viene infatti avvertito della presenza di scene di cruenta violenza, di suoni acuti improvvisi e di effetti di luce stroboscopica.
Violante Placido infonde a Julia una energica esuberanza di vita e di parola, contraltare della drammatica rassegnazione di Winston, cui nel finale nella stanza della tortura Woody Neri imprime un’abbacinata resistenza resa con plastico realismo. Ninni Bruschetta, unica nera figura nell’accecante candore della stanza 101 dove gli operatori indossano candide e asettiche tute spaziali (costumi di Paola Marchesin), tratteggia il torturatore O’Brien con la livida ambiguità e il glaciale distacco di un essere cui la folle ideologia del potere totalitario ha pervaso tutti i gangli vitali. Silvio Laviano, Brunella Platania, Salvatore Rancatore, Tommaso Paolucci, Gianluigi Rodrigues e Chiara Sacco sono gli altri interpreti di questa ambiziosa produzione di Federica Luna Vincenti per Goldenart Production in linea con le maggiori produzioni internazionali
Scrive Nicoletti nelle note di regia: “Orwell scrive immaginando un mondo distopico – l’Oceania a trazione totalitaria del Partito – creando un universo frutto della deriva socialista e tecnologica. Non poteva immaginare che quell’intuizione si sarebbe prestata così tanto a rappresentare questo nostro presente post-ideologico che, archiviati i concetti di destra e sinistra per come ce li ha lasciati il Novecento, vede alla ribalta una nuova forma soft di dittatura, fatta di hi-tech, globalizzazione tradita, media e social.
Il nostro Grande Fratello e l’Oceania orwelliana in scena, dunque, vivranno non in una dittatura del secolo scorso, ma nelle odierne Silicon Valley, negli Apple Store, a Guantanamo o in Iraq, in una diretta streaming o nel mondo dell’intelligenza artificiale e fonderanno il proprio potere sull’invasione della sfera privata – autorizzata ovviamente dal consenso informato (…) Quindi ho immaginato il futuribile, prendendo atto che la cifra profetica del discorso orwelliano, riletta con le lenti contemporanee, si presta ancora a raccontare noi e l’oggi, lasciandoci di nuovo sbigottiti, affascinati e sgomenti (….) Un gigantesco sforzo produttivo e sinergico fra i vari linguaggi teatrali – parole e corpi, scenografia, videoproiezioni, musiche, costumi, luci – con l’obiettivo di tenere il pubblico incollato alla poltrona e a tratti disturbato, attraverso una forma di “narrazione onirica” simile a un sogno – o a un incubo. Per restituire, sulla scena e con tutta forza della ritualità dello spettacolo dal vivo, quello stesso, sonorissimo schiaffo che Orwell dà al proprio lettore nelle pagine del suo gigantesco romanzo”.
Tania Turnaturi