Teatro Sala Umberto fino al 13 ottobre 2024
Dell’invecchiare, dell’essere fragili, inadeguati, perfino del morire parliamo ormai di nascosto o sottovoce. Invece, in questa opera teatrale, tratta dal libro omonimo “Un’ultima cosa”, Feltrinelli, 2022, Concita De Gregorio immagina alcune donne-artiste del ‘900 che hanno rappresentato a loro modo uno scandalo per la società del tempo, dare l’ultimo saluto da vive al proprio funerale, scegliendo le ultime parole da dire per consegnare al mondo il ricordo di se stesse.
Concita De Gregorio, ben affiancata dalla cantautrice Erica Mou, portano sul palco cinque figure femminili, “fonti di eresia, dunque di desiderio e di colpa”, le quali in vita sono state spesso ingiustamente relegate ai margini, ridotte a comprimarie di storie dominate da uomini o da contesti che non ne hanno mai davvero riconosciuto la grandezza. Dora Maar, musa di Picasso e grande artista a sua volta, Amelia Rosselli, musicista prima che poetessa di un lirismo visionario e di avanguardia, Carol Rama, pittrice trasgressiva celebre per le sue rappresentazioni scabrose e provocatorie, Vivian Maier, fotografa geniale scoperta solo postuma, e Lisetta Carmi, pioniera della fotografia che racconta la vita delle frange più deboli della società: cinque donne, nelle parole dell’Autrice, “messe al bando, escluse, lasciate indietro: arrivate troppo presto rispetto ai tempi, alle convenzioni, alla società”.
De Gregorio ricompone i frammenti delle loro vite, assembla le loro stesse parole, estratte da lettere, diari, poesie, scritti intimi. Un processo di riscrittura che si snoda attraverso tematiche diverse: gli amori, anche quelli segreti, l’amicizia, le scelte anticonformiste che hanno contraddistinto la loro storia personale. Non mancano riflessioni sull’importanza e sul valore della vita che, come una ruota gira in un tempo ben definito, lasciando spazio a coloro che verranno dato che non ci sarebbe posto per tutti.
Queste donne non parlano da vittime, ma da protagoniste. E’ nell’espressione artistica di queste donne che si è formato l’immaginario di generazioni di ragazze ed espresso il ribollire dei desideri di emancipazione che ha riscritto il destino delle donne e degli uomini.
Le loro orazioni funebri non hanno nulla di autocelebrativo, sono “invettive” che superano la barriera del genere e parlano all’essere umano in conflitto, colto nel tentativo arduo di far dialogare la natura maschile con quella femminile, la sfera privata con quella pubblica, il terreno con l’ultraterreno, la nascita con la morte.
La regia di Teresa Ludovico conferisce delicatezza e audacia al racconto in epitaffi, in cui De Gregorio, tra divagazioni cariche di ironia e autentiche confessioni, mette in campo tutta la sua energia per offrire le svariate coloriture psicologiche di un monologo profondo e arguto che scorre con leggerezza alternando momenti di profonda riflessione a momenti di graffiante umorismo.
Lo spazio scenico, ideato e curato da Vincent Longuemare, è un gioco di geometrie di quadri luminosi, punti di contatto tra la potenza delle parole della De Gregorio e la voce di Erica Mou, artista poliedrica, la quale utilizzando solo la voce offre una interpretazione coinvolgente, in dialetto pugliese, di brani della tradizione popolare.
Il risultato è un’opera originale su esperienze di vita illuminanti in cui insuccessi e incomprensioni sono diventati occasioni di crescita grazie alla capacità di imparare ad attraversare il dolore e trasformarlo in forza.
Roberta Daniele