Alessandro Preziosi al Teatro Quirino di Roma, fino al 17 novembre 2024
Non è esagerato affermare che questo Re Lear era tanto atteso. E’ un Lear maestoso e commovente frutto della collaborazione di lunga data tra Alessandro Preziosi e Tommaso Mattei il quale, senza mostrare soggezione nei confronti delle vertiginose sfide della tragedia shakespeariana in cinque atti e della sua drammatica complessità, ha curato l’adattamento teatrale in un atto unico intimo e minimalista che segue una narrazione scenica ben ordinata e fedele al testo originale.
Inizia in modo emozionante. Siamo in una Britannia senza tempo evocata, sul palco teatrale, dalle opere di Michelangelo Pistoletto che bastano da sole a rendere subito contemporaneo il dramma storico del Bardo, una cornice ideale del viaggio universale di Re Lear alla ricerca del significato più profondo dell’essere padri e figli e dei fondamentali valori che possono dare un senso e una ragione alla vita. In scena, oltre alle opere del Maestro, ci sono i costumi studiati da Città dell’arte – Fashion B.E.S.T. realizzati come pezzi unici, con materiali sostenibili.
In questa commistione tra arte contemporanea e teatro, Alessandro Preziosi, in veste di attore protagonista e di regista, offre una convincente interpretazione di profondo pathos, della follia, della solitudine e della ricerca di affetto che assillano i pensieri del leggendario regnante vissuto nell’VIII secolo a.C.
La trama è nota. Il vecchio re Lear è in procinto di abdicare, intorno a lui si consuma lo scontro tra le pretendenti al trono: il re distribuirà il suo regno in proporzione all’amore che le tre figlie, in una gara di adulazione, riusciranno a dimostrargli. Ottenuto il potere, due delle figlie lo tradiscono, la terza, Cordelia, che ha rifiutato di prestarsi al gioco, gli resta fedele, ma troppo tardi per schierarsi a difesa del padre e fermare la tragedia che finirà di lì a poco a spazzare via per sempre la sua stirpe, per lasciar spazio a una nuova era.
Ciò che colpisce di più del Re Lear, nel suo cammino da pellegrino, è la presa di coscienza del vuoto che rimane dopo aver assaporato la caducità del potere. Il grande enigma, che esprime in uno stato di costante schizofrenia spirituale, è: “C’è una causa in natura che rende questi cuori duri?”
Ciò gli che resta è portarsi appresso la saggezza e l’aiuto dagli altri. In primis, il conte Gloucester, interpretato da Nando Paone, che fa condurre Lear a Dover, dove è esiliata la figlia rimasta fedele, rende una figura insolitamente razionale in un universo irrazionale: dopo aver tentato di uccidersi dalle alte scogliere in un momento di assurdità beckettiana, chiede preoccupato: “Ma sono caduto o no?”
Sono di supporto al monarca anche il conte di Kent di Roberto Manzi il quale, messo al bando ritorna travestito da servo, l’ottimo Valerio Ameli nel ruolo di Edgar, nel finale travestito da pazzo vagabondo, e la giovane e arguta Cordelia di Arianna Primavera che interpreta anche il Matto, quasi un figlio surrogato di Lear, che dimostrano tutti che se un tema emerge da questa produzione, non è solo la vanità del potere ma è la lotta alla resistenza umana.
Le musiche originali di Giacomo Vezzani amplificano con sensibilità ed efficacia il percorso della discesa nella follia di Lear rivelando tutta la profondità di tematiche esistenziali fino al raggiungimento della consapevolezza, comune a praticamente tutti i re di Shakespeare, che potere e amore sono difficili da conciliare.
Roberta Daniele