Al Teatro Puccini un racconto intimo e politico di una tragedia storica
Nel giorno dell’anniversario della Marcia su Roma (28 ottobre 1922), il Teatro Puccini di Firenze ha accolto la prima nazionale di Il Corpo. Voci di donne nel delitto Matteotti, uno spettacolo firmato e interpretato da Anna Meacci, Daniela Morozzi e Chiara Riondino, con la regia di Matteo Marsan, per la rassegna Visioni d’Autunno nell’ambito dell’Autunno Fiorentino.
Tratto da un’idea di Riccardo Nencini, lo spettacolo si muove tra cronaca storica e sfera personale, disegnando un ritratto intenso di Giacomo Matteotti e del suo assassinio attraverso voci femminili, quelle delle donne che vissero accanto ai protagonisti di un’epoca segnata dalla violenza politica, all’alba di una dittatura.
A introdurre la serata è lo stesso Nencini – ex senatore, autore del romanzo biografico Solo (Mondadori, 2021), dedicato a Matteotti, e di Muoio per te (Mondadori, 2024) – che traccia i due tempi della vicenda, prima e dopo il delitto. Il racconto, infatti, non si concentra soltanto su quel 10 giugno 1924, ma lo inquadra nel contesto storico della lotta per la democrazia in Italia, definendolo come uno spartiacque. Ciò che avviene dopo non può prescindere dal delitto, eppure i tempi che lo succedono sembrano non volerlo mai considerare per quello che è stato: un vile omicidio politico ordinato da Mussolini, agli inizi di una storia che conosciamo tutti: violenze, aggressioni, diritti negati, e poi la nuova legge elettorale, l’invasione dell’Etiopia, l’alleanza con Hitler. Quello che spesso ci dimentichiamo, però, è ciò che accade tra una data e l’altra, i pensieri e le percezioni dei protagonisti e il loro impatto sull’opinione pubblica. A quel 10 giugno seguono il tempo del silenzio, quello dell’indifferenza, delle amnistie e, infine, molto dopo, quello della memoria e della giustizia democratica.
A condurre la narrazione sono i volti e le storie di quattro figure femminili. Velia Matteotti, moglie di Giacomo, comprende subito che cosa è successo e inizia a reclamare con forza e disperazione il corpo dell’uomo che ha amato, rivolgendo il suo appello a tutti, dal Papa allo stesso Mussolini. Margherita Sarfatti, confidente e amante di Mussolini, rivela un legame con il Duce che va ben oltre l’intimità amorosa, consigliandolo persino su come affrontare le conseguenze dell’omicidio politico e magnificando, esaltata, un atto vile come quello. Anna Kuliscioff, medica e compagna di Filippo Turati, prende una netta posizione sulla ‘secessione dell’Aventino’ da parte dei deputati socialisti, rimanendo però inascoltata. Infine, Julka Schucht, compagna di Gramsci e descritta attraverso lo scambio epistolare tra i due, porta in scena l’intensità emotiva di un rapporto fondato su affetti e ideali comuni.
Attraverso documenti, lettere e articoli di giornali dell’epoca, lo spettacolo dà voce a queste quattro donne, o meglio a queste quattro coppie e ai loro sentimenti, senza tuttavia scivolare nella mera celebrazione romantica. Al contrario, il filtro del femminile si rivela qui una scelta drammatica audace, capace di esprimere tutto il peso del sacrificio, della brutalità e della lotta contro l’indifferenza. Il ritratto di Giacomo Matteotti che ne risulta è quello di un uomo e di un politico – due figure inscindibili nel suo caso – per cui il coraggio e l’integrità non sono mai messi in discussione.
Il suo è un corpo martoriato e piegato nella fossa: un corpo come tanti, trovato casualmente da un cane, emblema di un’esistenza spezzata ma di un ideale che non si lascia piegare nemmeno dalla brutalità più cieca.
Bisognerà aspettare il 3 gennaio del 1925 per vedere Mussolini, nel suo discorso alla Camera, assumersi la responsabilità «politica, morale e storica» del delitto Matteotti. È qui che inizia la dittatura fascista: quando ciò che tutti già sapevano non è più qualcosa da nascondere ma da dichiarare con orgoglio. L’omicidio di un uomo di 39 anni che aveva denunciato la deriva del fascismo e che quella mattina ha salutato i suoi tre figli per l’ultima volta, prima di essere rapito e ridotto a un corpo.
Le voci intense delle interpreti, accompagnate dalla chitarra di Chiara Riondino, restituiscono i diversi livelli della narrazione, trascinando il pubblico dentro una storia che, anche a un secolo di distanza, ha ancora molto da insegnarci. Più che uno spettacolo, un atto di memoria collettiva che, nel centenario della morte di Giacomo Matteotti, induce a una riflessione amara e profonda sull’importanza della verità storica e della lotta per la giustizia, oggi come ieri.