Al Teatro Ambra Jovinelli di Roma fino al 24 novembre 2024
Drusilla Foer entra in scena come una nuvola di bianca spuma marina, ondeggiante sui tacchi e carica di buste vermiglie con gli acquisti dello shopping. Immagine icastica dell’indole e dello stile di vita della Venere del titolo.
Ispirata alla favola di Apuleio “Amore e Psiche”, la Venere Nemica di Drusilla Foer riattraversa il Mito con uno stile ironico e pungente, e qualche incursione estemporanea nell’attualità. Il tema classico suggerisce temi universali, presenti anche nella comunità degli dei: il contrasto suocera e nuora, la possessività verso il figlio maschio, la vanità, la perdita di fascino con l’età e tutte le piccole beghe che la letteratura attribuisce al rapporto degli uomini con la divinità.
La dea vive fuori dall’Olimpo, lontana dalla comunità litigiosa e capricciosa dei suoi simili, prigionieri dell’immortalità. Si è stabilita a Parigi, fra “i mortali” come definisce gli esseri umani, ai quali invidia proprio la vita di durata limitata che consente loro di godere delle piccole gioie, di alimentare sentimenti, di inseguire piccole futilità, in pratica di essere felici nel qui e ora. “Immaginate la mia gioia! Una dea condannata a vivere nell’eterna umidità del mare, scoprire l’esistenza della messa in piega”.
Il lavoro scritto a quattro mani da Drusilla Foer e Giancarlo Marinelli, portato in scena con la regia di Dimitri Milopulos e la produzione artistica di Franco Godi, scorre tra dramma e commedia suscitando qualche commozione.
Venere ha tratti caratteriali umani: è possessiva verso il figlio Eros che, irriconoscente ed egoista, si è innamorato di Psiche, la rivale umana che compete con lei per bellezza, e si scaglia “contro la straordinaria mortale, creduta Venere in terra”, meditando implacabile vendetta.
Frustrata e disillusa, apre il suo animo alla giovane cameriera che le dimostra complicità. Si strugge ricordando il ritorno del figlio che, ferito fugge via dalla sposa rifugiandosi dalla madre che curerà le sue ferite fisiche ed emotive, scoprendo così una inaspettata capacità di amore incondizionato: “… Io che sono sempre stata la mia sola priorità!”.
Rievoca, postilla, soffre, ironizza, un po’ dea e un po’ terrestre, acerrima nemica ma anche madre amorevole.
Drusilla Foer è una Venere irriverente, sprezzante, ammiccante, stravagante, elemento di congiunzione tra terra e cielo. I suoi abiti candidi sono il punto focale della scena cui fa da contraltare il nero abitino della cameriera sempre in secondo piano, quasi mimetizzata col fondale scuro, che ambiguamente a tratti diventa l’antagonista Psiche.
Il piglio deciso e la postura altera, gli abiti bianchi e la candida capigliatura creano l’essenza di una creatura evanescente e onirica, debordante e malinconica, distante e aristocratica, terrena e impalpabile, altera e affamata d’amore, fragile e contraddittoria, nella quale Drusilla Foer riversa tutta la sua carica di sofisticata ironia.
Elena Talenti alterna con sobrietà la devozione della cameriera conciliante allo sdegno della nuora altezzosa, fornendo risalto ai temi affrontati dalla dea.
Il balletto finale è godibile ed estemporaneo, a corollario di una messa in scena che vira dalla recitazione a brani cantati, sostenuti da musiche che ne veicolano le emozioni tra antico e moderno.
La regia di Milopulos regge le fila del sottile equilibrio tra la commedia e il dramma, valorizzando l’interprete nel contesto della scura scenografia animata dal gioco di luci nel quale la dea ora appare come emergendo dalle onde marine ora svanisce, dea e donna, tradita e fascinosa.
Alla fine applausi calorosi per una performance di estrema gradevolezza.
Tanai Turnaturi