Al Teatro Quirino di Roma fino all’8 dicembre 2024
Il multiforme talento di Simone Cristicchi musicista, cantante, attore e autore torna a esprimersi a teatro in uno spettacolo lirico e commovente ispirato a Francesco, il “Santo di tutti”, con uno sguardo non agiografico rivolto al suo lato più umano e rivoluzionario, visionario e quasi folle, cui non bastano il denaro, la gloria, i privilegi. Vuole di più, desidera l’infinito.
Entra in scena un uomo medievale che spinge un carretto andando in cerca di stracci di lino e canapa da rivendere al mastro cartaio per farne la carta. È Cencio, uomo ruvido dalla voce roca e dai modi bruschi, curioso e chiassoso, concreto e cinico, e si chiede come un giovane di ricca famiglia possa decidere di spogliarsi di tutti i privilegi e scegliere una vita di povertà.
Esce Cencio ed entra Simone con la sua folta chioma ricciuta. L’uno, stracciarolo girovago contemporaneo di Francesco ne critica l’operato, lo sbeffeggia ritenendolo matto. L’altro, Simone, ricorda che Francesco è tutto e il contrario di tutto! È cattolico ma vuole scardinare la chiesa dall’interno, rispettoso ed estremista, socialista e conservatore, ecologista e anarchico, mistico e punk”. Rammenta che l’attualità del suo messaggio è la scelta della povertà che è privazione del superfluo, che non vuol dire miseria che è privazione del necessario. Oggi noi il superfluo lo bramiamo credendo che ci dia benessere, mentre ci rende alienati. Un recente studio americano rileva che nelle nostre case accumuliamo circa 300mila oggetti, molti non utilizzati e dimenticati.
Cristicchi indossando e togliendo mantello e copricapo (costumi di Rossella Zucchi) cambia ruolo e timbro, cantando e recitando, variando su differenti registri, sviluppando l’impianto narrativo di un racconto a più voci (Cencio, Francesco, il Papa, i prelati) sul poverello di Assisi umano e sovversivo, fino a un suggestivo duetto fra il Santo ed il cenciarolo, con estrema padronanza della vocalità e della presenza scenica.
L’artista narra la sua visione di Francesco e qualche aneddoto come quello che, benché autore del Cantico delle Creature che è la prima opera in volgare, vietasse di leggere libri tranne quelli utili a recitare l’ufficio. Lo descrive come figura trasversale a tutte le religioni, contemporaneo del grande poeta mistico dell’islam Rumi, chiamato “il san Francesco sufi” per le sue poesie dedicate al creato, di cui ricorda l’aforisma: “Prima ero intelligente e volevo cambiare il mondo, ora sono saggio e voglio cambiare me stesso”. Evidenzia le assonanze tra il sufismo, che è il misticismo islamico, e il francescanesimo, dalla radice suf che è la lana della tonaca indossata dai sufi e dai francescani, fino al saluto ‘salam aleikum’ cioè ‘la pace sia con voi’.
Cencio con un fraseggio a tratti comico che attinge da umbro, francese, latino e spagnolo incarna la diffidenza popolare verso Francesco, lo sminuisce pur senza conoscerlo. Poi, colpito dalla potenza sovvertitrice del ‘Cantico delle Creature’ con la lode al Signore anche per Sorella Morte, finalmente comprende la scelta di quel giovane, che predicando l’amore universale ha affascinato il popolo e i potenti del mondo e al suo funerale ha avuto un corteo di uomini e di una moltitudine di animali di ogni genere.
Il racconto comprende otto canzoni inedite, composte da Cristicchi assieme alla cantautrice Amara, sulle musiche originali create da Tony Canto con sonorità etniche e rinascimentali. Canta, racconta, evoca e declama il cantautore romano, con la naturalezza di chi sta rivelando un mistero semplice da comprendere se ci si immerge con fiducia nel ‘desiderio’ di infinito. Passa senza soluzione di continuità da un brano musicale cantato con la voce aspra di Cencio al successivo interpretato con la propria tonalità e la chioma a incorniciargli la testa, rivelando un sapiente dominio vocale e un’intensa maturità scenica.
L’impianto drammaturgico del teatro-canzone scritto da Cristicchi insieme a Simona Orlando e di cui cura anche la regia, ha la sontuosità del musical con racconti, canzoni e aneddoti che svelano il labile confine tra follia e santità, filo conduttore della vita di Francesco.
La scenografia di Giacomo Andrico è essenziale ed evocativa, potenziata dagli effetti luce di Cesare Agoni. Nel finale le architetture si aprono su un ulivo illuminato, mentre sgorgano applausi all’artista e al santo!
Dalle note di regia: “Uno spettacolo colto e popolare, con momenti di grande dramma e ironia, condito da tematiche esistenziali comuni a tutti. Perché in fondo il mistero di Francesco è anche il mistero di ognuno di noi”.
Tania Turnaturi