Dal 12 al 15 dicembre 2024 a Roma
La tredicesima edizione del NORDIC FILM FEST si tiene da giovedì 12 a domenica 15 dicembre 2024. La rassegna che nasce con l’intento di promuovere la cinematografia e la cultura dei Paesi Nordici (Danimarca, Finlandia, Islanda, Norvegia e Svezia) è organizzata dalla ITALE20 di Antonio Flamini, che ne cura anche la direzione artistica, in collaborazione con le quattro ambasciate nordiche presenti in Italia e con il Circolo Scandinavo di Roma, si svolgerà presso lo Spazio Scena di Roma a Trastevere dal 12 al 15 dicembre e presenterà una selezione della cinematografia nordica degli ultimi anni realizzata in collaborazione con i Film Institutes dei rispettivi paesi e alcuni distributori, con il patrocinio della Regione Lazio, del MIC ed aderisce al Circuito dei Festival Indipendenti di CNA Roma finanziato da Fondazione Cinema per Roma. Oltre alle proiezioni in lingua originale con sottotitoli in italiano o in inglese e ad ingresso libero, il programma prevede presentazioni e incontri con ospiti internazionali, mostre, presentazioni di libri e degustazioni di prodotti tipici nordici.
Quest’anno la manifestazione festeggerà la sua tredicesima edizione, importante obiettivo raggiunto con un percorso che l’ha vista affermarsi sul panorama romano e nazionale come appuntamento imperdibile della stagione cinematografica, per questo il tema di questa edizione rappresenterà la sintesi dei tanti argomenti trattati in tutte le precedenti edizioni, dall’emigrazioni ai cambiamenti climatici, dalla diversità all’amore dell’uomo per la natura, dall’avventura ai rapporti padri-figli, dalla morte all’amore. Ad aprire ufficialmente il NORDIC FILM FEST 2024, sarà il film ”The Emigrants” del regista norvegese Erik Poppe, una coproduzione tra Svezia, Norvegia e Danimarca che narra dell’emigrazione dalla Svezia al Nord America nel XIX secolo, un periodo caratterizzato da carestia e povertà. La storia si concentra su Kristina (Lisa Carlehed) e Karl Oskar (Gustaf Skarsgård), una coppia di contadini che, motivati dal desiderio di una vita migliore e da nuove opportunità, intraprendono un difficile viaggio verso l’America. Il film si basa sulla popolare serie di romanzi di Vilhelm Moberg su Kristina di Duvemåla, pubblicata tra il 1949 e il 1959. Nel suo adattamento del romanzo di Moberg, già affrontato nel fortunato film omonimo di Jan Troell del 1971 con Liv Ullmann, Poppe si concentra sulle donne e in particolare sulla coraggiosa scelta di Kristina di lasciarsi tutto alle spalle e sul turbamento emotivo del trasferimento in un altro Paese: il film inizia in bianco e nero e man mano che vengono svelati i retroscena della sua famiglia e inizia il viaggio verso l’America, le immagini diventano lentamente a colori. Prima della proiezione di apertura della manifestazione verrà presentato il libro “Immagini” di Ingmar Bergman, a cura della Cue Press, la prima casa editrice digitale italiana dedicata alle arti dello spettacolo, e inaugurata la mostra “A Swedish Love Story: Film and TV drama” a cura dell’Ambasciata di Svezia, a cui seguirà una degustazione di gløgg, la bevanda di Natale tipica per favorire “l’atmosfera nordica” dell’evento. Inoltre, il Circolo Scandinavo di Roma presenterà il progetto SIMKA, video art a cura degli artisti Simon Häggblom (Finlandia) e Karin Lind (Svezia), che introdurranno I loro lavori. La sigla della manifestazione è realizzata dagli studenti dello IED (Istituto Europeo di Design) di Roma. Durante la rassegna verranno presentati in tutto 8 lungometraggi, cortometraggi norvegesi e filmati di video art a cura del Circolo Scandinavo introdotti dagli autori. Tutte le proiezioni saranno introdotte dai rappresentanti delle ambasciate ”nordiche”.
Film in programma:
The Emigrants
Regista: Erik Poppe
Cast: Lisa Carlehed, Gustaf Skarsgård, Sofia Helin, Tove Lo
Durata: 2 h 28 min
Paese di origine: Svezia
VINCITORE – NORWEGIAN INTERNATIONAL FILM FESTIVAL 2022 (Miglior film)
SELEZIONE CENTREPIECE – CARLSBERG SCANDINAVIAN FILM FESTIVAL 2022
CANDIDATO (x6) – SWEDISH ACADEMY AWARDS 2022 incl. Miglior film, Migliore attrice (Carlehed) e Miglior attore (Skarsgård)
Dall’acclamato regista Erik Poppe (The King’s Choice, U-22 luglio), THE EMIGRANTS è un travolgente e suggestivo adattamento della monumentale serie di romanzi di Vilhelm Moberg su una famiglia che emigra dalla Svezia colpita dalla povertà a metà del XIX secolo nella speranza di una vita migliore. 1849. Karl Oskar (Gustav Skarsgård, Kon-Tiki), sua moglie Kristina (una magnetica Lisa Carlehed) e i loro quattro bambini piccoli lottano per sopravvivere nella campagna svedese, con i raccolti scarsi nella loro piccola fattoria. Determinati a fuggire dalle difficoltà, dalla persecuzione religiosa e dall’oppressione sociale, loro, insieme a molti altri scandinavi, scelgono di intraprendere l’epico viaggio attraverso l’Atlantico, allettati dalla promessa di terra libera in un Minnesota in piena espansione. Reinterpretando questa storia fondamentale circa cinquant’anni dopo che Max Von Sydow e Liv Ullmann hanno recitato nel film candidato all’Oscar del 1971 di Jan Troell, Poppe osserva gli eventi attraverso la lente della società odierna, cambiando la prospettiva in quella di Kristina e del tumulto emotivo di lasciarsi una vita alle spalle. Il regista si concentra sulle donne e in particolare sulla coraggiosa scelta di Kristina di lasciarsi tutto alle spalle e sul turbamento emotivo del trasferimento in un altro Paese: il film inizia in bianco e nero e man mano che vengono svelati i retroscena della sua famiglia e inizia il viaggio verso l’America, le immagini diventano lentamente a colori. Con un cast corale che comprende Tove Lo, Sofia Helin di The Bridge e Lena Strömdahl, una colonna sonora originale eccezionale di Johan Söderqvist e una straordinaria fotografia di John Christian Rosenlund che cattura magnificamente il pericolo e la durezza di un’America divisa e nascente, THE EMIGRANTS è una storia toccante e senza tempo sull’appartenenza e su quanto i genitori siano disposti a sopportare per migliorare la vita dei propri figli e realizzare i loro sogni.
The lion woman (Løvekvinnen)
Regista: Vibeke Idsøe
Cast: Rolf Lassgård, Connie Nielsen, Burghart Klaussner, Aurora Lindseth Lokka, Kjersti Tveterås
Durata: 2 h
Paese di origine: Norvegia
Il film è stato candidato a tre premi AMANDA è stato anche candidato per il miglior ruolo da protagonista femminile al Premio Kanon in connessione con il festival cinematografico Kosmorama. Nel 1912, in una cittadina della Norvegia, nasce la piccola Eva. Sua madre Ruth muore di parto e suo padre Gustav ha ormai solo lei al mondo. La bambina, però, è nata con una rara malattia che vede il suo corpo completamente ricoperto di peli. Per questo motivo suo padre inizialmente si vergogna di lei, affidandola alle cure della bambinaia Hannah, poi, con il passare degli anni, teme sempre più le reazioni che le persone possono avere alla vista della bambina. Ma è davvero la soluzione giusta isolarla dal mondo intero? Questo è ciò che accade in The lion Woman, diretto dalla regista norvegese Vibeke Idsøe. In poche parole, la storia di una persona considerata diversa, la quale faticherà non poco a trovare il proprio posto nella società. In secondo luogo, tra l’altro, abbiamo il complesso rapporto padre-figlia che, a suo modo, giocherà un ruolo fondamentale durante il percorso di crescita della bambina. Con tanto di commoventi colpi di coda. La storia della piccola Eva è, in The lion Woman, la versione in salsa norvegese di The Elephant Man di David Lynch (1980), oltre che del grottesco La Donna Scimmia di Marco Ferreri (1964). Il lungometraggio si apre con una serie di drammatici eventi che poco fanno sperare in un roseo futuro, ma ben presto – e soltanto dopo una breve conversazione con una bella donna conosciuta in una stazione termale – la vita di Eva cambierà radicalmente. Pellicola dal grande potenziale grazie alle brave attrici protagoniste (Aurora Lindseth-Løkka, Mathilde Thomine Storm e Ida Ursin-Holm) che, di volta in volta, hanno rappresentato Eva nel corso degli anni. La loro è una bambina dolce e aggraziata, che, malgrado il suo aspetto fisico, finisce man mano per acquisire, con il tempo, fascino ed eleganza e con un grandissimo talento per la matematica in poche parole, un personaggio assai ben caratterizzato. Con uno stile ben impiantato nel purismo più classico, la regista e sceneggiatrice norvegese Vibeke Idsøe ci propone un interessante apologo sul tema della diversità, andando a toccare varie corde emotive dello spettatore. Ciò che caratterizza positivamente un lungometraggio come The Lion Woman – il titolo ha un duplice significato, quello dell’assonanza fisica con il celebre felino ma sottolinea anche la capacità della stessa protagonista di non arrendersi alla propria condizione – è la capacità di scavo, tutta femminile, nella psicologia di una creatura dall’esistenza estremamente condizionata dapprima dalla patologia di cui si faceva cenno, quindi dal cosiddetto corpus sociale, mai in grado di accettarla veramente. Come viene spesso ribadito da molti dei personaggi del film, ogni società possiede le sue brave, ipocrite, suddivisione in categorie: i “normali” con i “normali” ed i “diversi” con i “diversi”. Molto profondi i monologhi interiori della protagonista, fotografata da The Lion Woman nelle varie fasi della sua crescita non solamente fisica. Dalla sua condizione di estrema solitudine sino all’accettazione totale di se stessa, che avverrà dopo una scelta di vita assieme degradante e però formativa.
Of horses and men (Hross i Oss)
Regista: Benedikt Erlingsson
Cast: Ingvar Eggert Sigurdsson, Charlotte Boving
Durata: 1h 20 min
Paese di origine: Islanda
Il legame tra l’uomo e la natura nella selvaggia terra d’Islanda, al cinema con le storie di amore e morte di uomini e cavalli. Elaborando i racconti della tradizione orale islandese come frammenti della gente che popola la sua terra, con la medesima anarchia usata dal Decameron di Pasolini o il teatro di Dario Fo, Benedikt Erlingsson racconta e dirige Storie di cavalli e di uomini (Hross ì Oss – Of horses and men, Islanda, Germania, Norvegia 2013), intrecciando con affilata ironia trame di amore e morte, sesso e rivalità, dramma e dark humour. Con la telecamera puntata sul legame imprenscindibile tra uomini e natura e il loro tentativo di imbrigliare gli elementi nella maestosa, selvaggia e irrequieta terra islandese, l’opera prima di Benedikt Erlingsson, attraverso gli occhi dei loro cavalli, guarda le gioie della piccola comunità che spia il prossimo con il cannocchiale, dal vecchio ubriacone che cavalca in mezzo al mare fino a una nave carica di vodka al giovane che si rifugia nel ventre del suo cavallo per salvarsi da una tormenta di neve, mentre uno stallone monta una giumenta senza curarsi dell’imbarazzo del suo padrone ancora in sella. Storie di cavalli e di uomini è stato prodotto da Hrossabrestur (IS), Mogador Film (DE) e Filmhuset AS (NO), e distribuito in Italia da P.F.A. Films. Il film è stato selezionato dall’Islanda per competere agli Oscar per il miglior film straniero del 2014 e ha avuto la sua première internazionale nel settembre 2013 al San Sebastián Film Festival, dove il regista Benedikt Erlingsson ha ottenuto il prestigioso “Kutxa-New Directors Award”. Nell’ottobre dello stesso anno, Erlingsson ha vinto anche il premio per il Miglior Regista al Tokyo International Film Festival. Inoltre, a novembre, ha trionfato al Festival international du film d’Amiens, dove si è aggiudicato il premio della città di Amiens e il riconoscimento come miglior attrice, andato a Charlotte Boving. “Storie di cavalli e di uomini” è stato selezionato anche al Palm Springs International Film Festival e allo Scandinavian Film Festival di Los Angeles nel gennaio del 2014. Nello stesso anno ha stravinto gli Edda Awards, gli Oscar islandesi, vincendo come miglior film e nelle categorie di: miglior regista (Benedikt Erlingsson), miglior sceneggiatore (sempre Benedikt Erlingsson), attore dell’anno (Ingvar E. Sigurdsson), miglior fotografia (Bergsteinn Bjorgulfsson) e migliori effetti speciali (Jorundur Rafn Arnarson). Inoltre, il film è stato premiato ai seguenti festival: Kutxa-New Directors Award, San Sebastián Film Festival 2013 . Best Direktor, Tokyo film Festival 2013 The Grand Jury Prize, Les Arcs Festival 2013 Tridens Competition; Best Film of Feature Debuts, Tallin Festival 2013 Miglior film, miglior fotografia e premio FIPRESCI, Tallin Festival 2013 The Audians Prize, Tormsø filmfest 2014.
Rare exports – A Christmas tale
Regista: Jalmari Helander
Cast: Peeter Jakobi , Per Christian Ellefsen, Jorma Tommila, Tommi Korpela, Jonathan Hutchings, Rauno Juvonen, Onni Tommila, Ilmari Järvenpää, Risto Salmi
Durata: 1h 25 min
Paese di origine: Finlandia, Svezia
Un film per tutti coloro che pensano di non credere più a Babbo Natale. Nelle profondità delle montagne Korvatunturi, a 486 metri di profondità, è custodito il più prezioso segreto del Natale. È giunto il momento di svelarlo! Questo Natale tutti crederanno a Babbo Natale.
Jalmari Helander è nato ad Helsinki ed ha intrapreso una carriera di successo come pluripremiato regista di spot televisivi. Ha diretto i corti Iceman, Maximillian Tarzan, Ukkonen, Rare Exports Inc., Rare Exports Inc. Safety Instructions e The Fakir. Rare Exports: A Christmas Tale è il suo primo lungometraggio. Finlandia, nei pressi delle montagne di Korvatunturi. Pietari scopre per caso che gli americani che scavano sulla montagna hanno portato alla luce qualcosa di antico. Nel frattempo, nel villaggio cominciano a sparire dapprima alcuni oggetti di uso comune e poi i bambini. Pietari cerca di attirare l’attenzione di suo padre Rauno, ma lui è impegnato con qualcosa che ha trovato nella trappola per renne fuori dalla sua porta e al ragazzo non resta altro da fare che procedere da solo al disvelamento mistero. Pietari è un giovane curioso. Contravvenendo agli ordini paterni spia gli scavi che un ricco americano ha commissionato nella montagna vicino casa. Le esplosioni mettono in fuga le renne, e la carne scarseggia. Il ragazzo però non si fa spaventare e scopre così che nel ghiaccio nei pressi della sua abitazione è sepolto qualcosa di importante. Pietari non ci mette molto a concludere che “il Babbo Natale della Coca Cola è una truffa” e che le leggende locali parlano di tutt’altro. Il Babbo Natale originale, quello finnico dei libri di mitologia, era un vecchiaccio con delle enormi corna che non si faceva scrupolo di farsi un bello stufato coi bambini cattivi, e neanche ci pensava a portare regali a quelli buoni. Deliziosa variazione sul mito finnico del vecchio barbuto, questo “Rare export: a Christmas tale” segue un paio di corti sullo stesso tema girati dal regista. Pietari è l’occhio stesso dello spettatore che, affascinato dal mistero degli scavi sulla montagna, scopre addirittura che non solo Babbo Natale esiste, ma che la pubblicità di una potente multinazionale ha del tutto travisato la realtà storica del mito, inventando di sana pianta un vecchio buono che premia i bambini meritevoli e che a quelli cattivi, nel peggiore dei casi, porta del carbone. La realtà dei libri finnici e delle vecchie illustrazioni però fa subito chiarezza nella mente del giovane il quale, appena cominciano a sparire i suoi amici, si preoccupa seriamente e cerca di attirare l’attenzione paterna. Ma suo padre custodisce un segreto all’interno del suo laboratorio e questo è direttamente collegato con gli scavi e le sparizioni dei bambini del villaggio. Sembra possibile immaginare di esser stati derubati dei propri caloriferi e asciugacapelli a causa della vicinanza col confine russo, abitato per lo più da povere famiglie per le quali questi oggetti sono un lusso, ma dei bambini del villaggio chi mai potrebbe aver bisogno? Partendo da questo interrogativo e studiando i testi antichi Pietari trova una risposta piuttosto difficile da digerire e del tutto impossibile da spiegare al proprio padre. I padri, si sa, non prendono mai sul serio i propri figli, e Rauno non fa eccezione, spedisce quindi il ragazzo in casa e si mette al lavoro per ricavare qualcosa dal bottino trovato nella trappola per le renne che aveva sistemato in cortile. Il racconto procede così in bilico tra la realtà cruda di un villaggio abitato da uomini che hanno poco da perdere e niente da guadagnare dalla presenza sul loro territorio di un ricco americano ossessionato dalle leggende locali, e la lucidità dell’occhio di un bambino già uomo, che si fa carico non solo del problema ma anche della sua soluzione con una maturità e un’intelligenza che finiscono per offuscare rapidamente quella degli adulti che lo circondano i quali, abbagliati dalla possibilità di ricavare dei soldi, mettono in piedi qualcosa su cui non potranno mai avere il controllo. La fotografia cupa e le immagini in notturna regalano il brivido della favola antica, di quelle in cui i bambini finivano in pasto a creature mitiche e il cui terribile contenuto è stato stemperato con gli anni, sostituendo orchi e demoni con dolci vecchietti e rassicuranti promesse di premiazione del comportamento esemplare dei bambini che accetteranno di credere al totale travisamento dei miti originali. La colonna sonora potente, la regia sobria e la recitazione misurata completano un quadro già reso affascinante dalla location, suggestiva e impietosa come ci si immagina debba essere un luogo che sottintende il disvelamento di un mito antico e senza tempo. Del tutto meritata quindi l’attenzione che alcuni festival europei hanno riservato a questo interessante aggiornamento della favola nera. Premio Variety Piazza Grande a Locarno e quattro riconoscimenti, fra i quali Miglior Film e Regista, al Fantasy Film Festival di Sitges. Mentre dal Festival Internazionale della Fantascienza di Trieste porta a casa altri due premi, vincendo nella sua categoria, Méliès d’Argent per i lungometraggi europei e conquistando il premio del pubblico. Inoltre ci pare decisamente incoraggiante il fatto che piccoli gioielli privi del tutto di effetti speciali possano ancora regalare qualche sano brivido allo spettatore talmente temerario da accettare di concedere la sospensione dell’incredulità a un prodotto semplice e immediato, affidandosi quindi alla rappresentazione nostrana di storie precedenti la riscrittura americana delle leggende di matrice europea.
Tove
Regista: Zaida Bergroth
Cast: Alma Pöysti, Krista Kosonen, Robert Enckell
Durata: 1h 40 min
Paese di origine: Finlandia
Tove Jansson è famosa per aver creato i Moomin, quindi non dovrebbe sorprendere che la storia di come queste creature somiglianti a ippopotami sia al centro del film su di lei. Ciò che è più sorprendente però, è che questo film non è certamente un film con cui far addormentare i bambini. Con Tove, mostrato nella sezione Industry Selects al Festival di Toronto, la regista Zaida Bergroth ha fatto un film che mette in evidenza l’imprevedibile vita personale di Jansson, le difficoltà che ha avuto con il padre (recitato da Robert Enckell), e la vita durante e dopo la Seconda Guerra Mondiale.
Le sequenze iniziali di Tove sembrano essere state assemblate come si farebbe per un fumetto, dove l’azione appare in scena, facendoci ottenere delle informazioni vitali prima di venire catapultati nel momento successivo. La regista finlandese Bergroth, la quale ha precedentemente fatto il dramma in costume ambientato nel 1920 Maria’s Paradise, corre verso la base sostenendo che, molto spesso, trovare una verità emozionale è interessante come dare voce ai fatti. Tove è la figlia di un famoso scultore, il quale è un tiranno e i due non vanno d’accordo. Vive una vita bohémien, attendendo feste illegali durante la Seconda Guerra Mondiale e avendo un affare amoroso con un politico sposato. È anche il periodo in cui ha creato i Moomins, giusto per divertirsi. Quando incontra la figlia del sindaco, Vivica Bandler, acutamente descritta come “una donna altolocata che pretende di essere una direttrice di teatro”, iniziano un affare amoroso ed è qui che il film rallenta il ritmo concedendo finalmente del tempo per respirare.
Il film diventa ancora di più intrigante quando ruota intorno alle due donne. Krista Kosonen, la quale è stata una grande rivelazione in Dogs Don’t Wear Pants, interpreta Vivica, una egocentrica, riservata, distaccata, la quale si interessa dei sentimenti altrui solo quando sono in linea ai suoi, il che non succede molto spesso. In un matrimonio di convenienza, e con un abbigliamento fantastico, offre a Tove l’eccitamento di un affare amoroso con lo stesso sesso – il quale sembra essere l’unico motivo per cui stanno insieme, visto che non sembra esserci nessun’altra chimica tra di loro. Sorprendentemente però, questo è un fattore funzionale per Tove, la quale ha un carattere poco amichevole. Recitando l’eponimo personaggio principale troviamo Alma Pöysti, con la sua Tove, una tipa stravagante che non sembra appartenere a nessun luogo, portando una performance interessante e commovente. In questo momento i Moomin sono soltanto un progetto secondario, e sono gli altri, tipo Vivica, che riconoscono quanto è ottima la sua creazione. Tove si innamora di Vivica, la quale però ama Parigi così tanto da trasferirsi, per stare con altre persone. Vivica ottiene comunque il suo posto in questa storia organizzando un adattazione musicale di Comet in Moominland, ottenendo un successo enorme. Questa biografia mostra, inoltre, che Tove usa la lezione imparata da questo amore sventurato nel suo lavoro e nelle sue relazioni future.
Tove è una produzione di Helsinki-Filmi (Finlandia), in coproduzione con Anagram Sweden (Svezia).
Amundsen
Regista: Espen Sandberg
Cast: Pål Sverre Hagen, Katherine Waterston, Christian Rubeck
Durata: 2 h
Paese di origine: Norvegia
Come è riuscito Roald Amundsen, uno sconosciuto originario della povera Norvegia, a diventare il più grande esploratore polare che il mondo ricordi? La risposta non sta nel racconto di una singola impresa, ma in un film drammatico ed epico sull’intera vita di un uomo straordinario e affascinante. Amundsen ha dedicato la sua vita alla scoperta di nuove terre, se necessario adottando misure estreme per raggiungere i suoi obiettivi. In cambio conquistò il successo nella sua vita professionale, ma pagò un caro prezzo come essere umano. Questo film è un tributo al suo sconfinato talento di esploratore polare e rivela la tragedia cui condannò sé stesso e gli altri, sacrificando tutto, in queste gelide terre desolate, per realizzare il suo sogno.
Sembra un film tratto da un romanzo di Verne, invece è la biografia di Roald Amundsen, uno dei più grandi esploratori di sempre. La sua è stata una vera ossessione per i due Poli, gli ultimi posti inesplorati del pianeta. Al punto da sacrificare i rapporti famigliari (con il fratello) e la sua vita sentimentale, pur di arrivare per primo dove nessuno era mai stato.
Norvegia, 1926. Dopo aver letto un giornale sulla scomparsa di Roald Amundsen al Polo Nord, suo fratello Leon esce di casa per andare a piedi a casa di Roald, lì accanto, in attesa di notizie. Scambiato per un ladro, Leon viene aggredito da Bess Brigads, la giovane fiamma di Roald. Presentandosi, Bess apprende da Leon del giovane Roald, cresciuto in una famiglia felice con tre fratelli affascinati dalle spedizioni in terre sconosciute e inesplorate. Quando il padre morì durante uno dei suoi soliti viaggi in mare e la madre morì di malattia poco dopo, Roald e Leon rafforzarono il loro legame nel desiderio di essere i primi uomini a raggiungere il Polo Nord, Roald come esploratore e Leon come finanziere. Ma nel 1908 la pretesa di Frederick Cook di aver raggiunto il Polo Nord li costringe a cambiare piano: Roald propone di andare al Polo Sud, dando inizio a una gara contro l’esploratore inglese Robert Falcon Scott, che vuole la stessa impresa per l’Impero britannico. Quando nel 1912 Roald torna vittorioso e Scott muore durante il viaggio, Roald diventa un eroe per la Norvegia ma viene apertamente disprezzato dai membri della Royal Geographical Society durante una cena in suo onore a Londra. Costretto da una precedente promessa a fare un viaggio nello Stretto di Bering per studiare le correnti dell’oceano Artico, la nave di Roald rimane bloccata nel ghiaccio alla deriva per anni, cambiando il suo carattere a causa del lungo isolamento. Dopo aver incontrato una tribù di Inuit, che si presentano alla nave chiedendo aiuto per curare una ragazza malata, Roald abbandona la sua nave lasciando indietro il suo equipaggio e porta a casa con sé due bambini Inuit. Mentre Bess e Leon sperano di avere notizie di Roald, lei scopre di più sull’uomo dietro la fama, una persona così grande come avventuriero ed esploratore ma così duro ed egoista come essere umano, determinato a realizzare i suoi sogni d’infanzia.
Roald Amundsen (1872-1928) è il più importante esploratore polare del nostro tempo. L’avventuriero norvegese è stato il primo a navigare attraverso il Passaggio a Nord Ovest (1903-1906) e a conquistare il Polo Sud (1911) probabilmente fu anche il primo a piantare bandiera al Polo Nord (1926).
Nel ruolo del protagonista Pål Sverre Hagen, star internazionale del cinema norvegese.
When in Rome
Regista: Niclas Bendixen
Cast : Bodil Jørgensen, Kristian Halken, Rolf Lassgård
Durata: 1 h 40 min
Paese di origine: Danimarca, Svezia, Italia
Una commedia delicata sull’amore e la nostalgia della giovinezza perduta che ha per sfondo le meraviglie della Città eterna, diretto dal regista e coreografo danese Niclas Bendixen, già candidato agli EFA per la migliore commedia con il suo esordio, Ditte e Louise. Il film, già campione di incassi nei paesi nordici, rinnova – a venticinque anni dall’exploit di Italiano per principianti – il legame cinematografico tra Copenhagen e l’Italia, di nuovo all’insegna di una commedia sentimentale che non rinuncia a giocare con i cliché del Belpaese. Al centro del racconto, il viaggio a Roma che Gerda (Bodil Jørgensen, vista di recente in The Kingdom Exodus di Lars von Trier) e Kristoffer (Kristian Halken) si regalano per il loro quarantesimo anniversario di matrimonio. Ma nella città eterna, dove in gioventù aveva studiato per diventare un’artista, Gerda ritrova casualmente il suo insegnante dell’epoca, Joannes (Rolf Lassgård, già protagonista, tra gli altri, dei film candidati all’Oscar Mr. Ove e Dopo il matrimonio), che non ha perso un grammo del fascino che le aveva fatto perdere la testa, e che adesso rischia di mandare all’aria l’equilibrio della coppia. Gerda si ricorda della vita che conduceva tanti anni prima e mette da parte il marito, vagando per le strade della Città Eterna alla ricerca della sua giovinezza perduta da tempo. Riusciranno Gerda, così sensibile e vitale, e Kristoffer, semplice e un po’ burbero, a non perdersi tra i vicoli di Roma, nonostante quell’amore ingombrante che si riaffaccia dal passato? Il film è prodotto da Motor (Danimarca) in coproduzione con Vivo film (Italia) e Gimme a Break (Svezia) e rende un irresistibile omaggio all’arte, all’amore e alla Città Eterna.
My father Marianne (Min pappa Marianne)
Regista: Mårten Klingberg
Cast: Rolf Lassgård, Hedda Stiernstedt, Lena Endre, Klas Wiljergård
Durata: 1 h 50 min
Paese di origine: Svezia
Lo svedese Mårten Klingberg affronta il tema molto attuale della transessualità in questa commedia drammatica che tende più verso il comico. Una cosa è confrontarsi con il potere stabilito e sfidare le norme antiquate della società, mentre un’altra è avere a che fare con quello che per 28 anni della tua vita è stato tuo padre e accettare il nuovo genere nel quale realmente si identifica. È questo il problema ventilato in My Father Marianne di Mårten Klingberg, una commedia drammatica svedese d’attualità, presentato in prima mondiale come film di chiusura del Göteborg Film Festival del 2020.
Hanna (Hedda Stiernstedt), volenterosa giornalista appena uscita dall’università e in lotta per la giustizia sociale, non riesce a convincere i principali redattori di Stoccolma dei suoi piani per dar loro un posto nella storia del giornalismo (“In realtà già ci siamo”, informa uno di loro seccamente). Come se non bastasse, quando torna un po’ troppo presto da un altro inutile colloquio di lavoro, Hanna scopre il suo fidanzato con un’altra. A malincuore, decide di tornare nella sua piccola città natale, la pittoresca Alingsås, dove le sue ex compagne di scuola, tutte sposate e con figli, si interrogano sarcasticamente sulle conquiste dell’eroina di ritorno. Almeno la sua famiglia la attende a braccia aperte: l’affidabile papà Lasse (Rolf Lassgård), amatissimo vicario locale; la solida mamma Eva (Lena Endre); e il fratello David, irritante da morire ma pur sempre suo fratello (Klas Wiljergård). Ottiene persino un lavoro temporaneo come reporter presso la stazione televisiva locale.
Ma quando le cose sembrano finalmente andare meglio, Hanna rileva alcuni disordini sul fronte domestico. Sua madre è leggermente meno solida, e il suo affidabile padre si comporta in modo del tutto strano a volte, soprattutto in relazione ad alcuni abiti da donna che girano per casa. Durante una discussione tra i suoi genitori, Hanna sente il nome di Marianne. Un’amante, shock, orrore? Ma no, si scopre che Marianne non è altro che Lasse e che Lasse, il rifugio sicuro di Hanna in questa turbolenta esistenza, sta per fare il gran salto verso la femminilità…
Basato sul romanzo autobiografico dell’autrice-giornalista Ester Roxberg, My Father Ann-Christine. The Memory of a Secret, gli adattatori di My Father Marianne hanno apportato notevoli modifiche (incluso il cambiamento dei nomi di tutti i soggetti coinvolti) a favore di un approccio più leggero e semplice, sottolineando gli aspetti più comici e accattivanti a scapito delle idee più complesse.
Spazio Scena,
via degli Orti d’Alibert 1 a Trastevere, Roma
tel. 06 5168 5734