Proseguono le alterazioni al Teatro Ca’ Foscari. Fanny & Alexander e Ateliersi presentano il progetto ispirato alla famosissima quadrilogia L’amica geniale di Elena Ferrante. Non ci dilungheremo sul mistero che avvolge l’autrice, o l’autore, sul successo mondiale degli ultimi lavori e le future trasposizioni per grande e piccolo schermo, temi portanti di molti contributi della rassegna stampa fornitaci all’ingresso. Illustreremo brevemente la struttura e il contenuto di questa lettura scenica che parte con intenzioni ambiziose, ma si perde nei meandri di una ricerca povera di originalità. Lo spettacolo prende il titolo da un verso del premio Nobel Wisława Szymborska ed è diviso in due parti. Si apre con frammenti di brani tratti da L’amica geniale, compiendo un viaggio a ritroso nell’infanzia di Lila e Lenù, le bambine protagoniste della saga, che gettano per sfida reciproca le bambole Tina e Nu nello scantinato di Don Achille, l’orco del rione, per poi non ritrovarle più. Momento clou che porta con sé differenti significati. Un sogno? Il passaggio dall’età dell’innocenza, abbandonata oggi sempre più precocemente, all’adolescenza tramite il rifiuto dell’oggetto transazionale per eccellenza? L’anticipazione della morte? Vestite di bianco, Chiara Lagani e Fiorenza Menni danno corpo alla storia in un continuo gesticolare simmetrico, fatto di piccoli tic a lungo andare ridondanti, prolissi, volti a caratterizzare personalità in realtà interscambiabili, come le parole che ripetono, sovrappongono, sdoppiano in una rifrazione corporale e lessicale che esaurisce il suo senso nel giro di dieci minuti. Cose già viste con Emma Dante, Pina Bausch o nel teatro di narrazione. Una sequenza al buio, mentre continua il dialogo fuori scena, trasla l’azione verso lo spazio oscuro in cui sono caduti i pupazzi. Si riaccendono le luci e le attrici, questa volta con indosso abiti e trucco neri, continuano a muoversi spasmodicamente in quello che viene definito un “fotoromanzo animato”. Dal fondo del baratro, dove le pupe recitano brevi rime di Baum, Scialoja e Szymborska con vocine degne del miglior horror – ci sembrano Egle e Liuba de Il nascondiglio di Avati – si ode una Napoli oleografica e disturbante, la voce distorta e cavernosa di Don Achille, donne che invitano le fanciulle (o i fantocci?) a rincasare, l’anelito a un ritorno alla Madre, l’acqua del mare e del grembo, di truffautiana memoria.
Se Chiara Lagani vanta un recitato pulito e curato nonostante il microfono, quello di Fiorenza Menni è sporcato dall’uso a tratti scorretto dell’amplificazione. Unico pregio è la ricerca sonora di Luigi De Angelis che nel secondo tempo riesce, tramite la mirabile operazione di mixaggio e curatela di Vincenzo Scorza, a creare effetti di vera angoscia. Sensazione che aumenta se, per un attimo, dalla finzione letteraria si passa alla realtà del Parco Verde di Caivano dove orchi, giocattoli e bambini furono attori di un tragico dramma del degrado e dell’omertà.
Pubblico curioso, attirato dal nome della Ferrante, accorre numeroso.
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Da parte loro nessuna domanda imbarazzante
progetto ispirato a L’amica geniale, liberamente tratto dalla quadrilogia di Elena Ferrante (Edizioni E/O).
Testi della prima parte: brani da L’amica geniale di Elena Ferrante; testi della seconda parte: Chiara Lagani, Lyman Frank Baum, Toti Scialoja, Wisława Szymborska.
con Chiara Lagani e Fiorenza Menni
ideazione: Luigi De Angelis, Chiara Lagani e Fiorenza Menni
drammaturgia: Chiara Lagani
regia e progetto sonoro: Luigi De Angelis
cura del suono: Vincenzo Scorza
costumi: Midinette
Produzione Fanny & Alexander in coproduzione con Ateliersi