Carlo Cecchi con “Enrico IV” torna a Luigi Pirandello.
È la terza opera di Pirandello che Cecchi, attore e regista fiorentino, mette in scena: “L’uomo la bestia e la virtù” fu il primo, nell’ormai lontano ’76, mentre del 2000 è “I Sei personaggi in cerca d’autore”.
Padre del teatro d’innovazione italiano, Carlo Cecchi è arrivato il 29 novembre, in esclusiva regionale, al Tau dell’Unical di Cosenza per il secondo appuntamento della stagione Meridiano Sud.
Enrico IV è una pietra miliare del teatro pirandelliano e dell’intera poetica del drammaturgo siciliano. La tragicommedia porta in scena i grandi temi cari all’autore: la maschera, l’umorismo, il metateatro, la follia, l’identità e il rapporto tra forma e vita.
“Il testo narra la vicenda di un uomo che da circa vent’anni veste i panni dell’imperatore Enrico IV – si legge nella nota stampa – prima per vera pazzia, poi per abile inganno per simulare una nuova vita, e infine per drammatica costrizione e diventa così l’emblema del legame pirandelliano tra maschera e realtà.”
Anche questo personaggi pirandelliano, stanco della vita reale, trova un escamotage per uscirne e vivere un’esistenza da “outsider”, deridendo il resto della società dalla prigione di cristallo creatasi.
La “prima” teatrale dell’Enrico IV di Luigi Pirandello, con l’attore Ruggero Ruggeri ad impersonare il protagonista principale, ha luogo la sera del 24 febbraio 1922, presso il teatro Manzoni di Milano; lo spettacolo, di gran successo, è anche una pietra miliare del teatro pirandelliano e della sua intera poetica, dato che porta in scena i grandi temi della maschera, dell’umorismo, dell’identità e del rapporto tra forma e vita, sullo sfondo della contraddittorietà tragicomica della nostra esistenza.
Lo spettacolo ebbe un successo notevole e duraturo, basti pensare che da quella sera di febbraio fino alla sua morte nel 1953 Ruggeri interpretò il ruolo di Enrico IV per ben 318 volte, ma del resto quel ruolo era stato pensato da Pirandello apposta per lui.
Un nobile dei primi del ‘900 vive chiuso per vent’anni in casa vestendo i panni dell’imperatore Enrico IV di Germania, prima per vera pazzia, poi per simulazione ed infine per drammatica costrizione: la sua follia diviene unico mezzo di fuga dalla realtà. L’Enrico IV è probabilmente, più che in altre tragedie, l’opera in cui il pirandellismo vince i suoi schemi e attinge a una tensione interiore davvero universale.
La rivisitazione di Cecchi è innovativa e al contempo rispettosa dell’originale: ha optato per un adattamento che alleggerisce la tragedia riducendo i tre atti originari a uno soltanto.
Ha snellito i dialoghi, agendo anche dal punto di vista filologico.
Conserva il celebre monologo sulla pazzia, cuore del dramma. Inoltre il nuovo Enrico IV decide di fingersi pazzo subito dopo essersi ripreso dall’incidente, sente il bisogni di alienarsi dalla formalità assurda della società. L’ ”attore” si immerge completamente nel personaggio, ne resta intrappolato e in esso si sente protetto, da questo si lascia cullare nella follia, ostentata e reale.
La patologia dell’Enrico IV di Cecchi non è un caso clinico, bensì una scelta: nel momento in cui tutti lo prendono per pazzo, capisce che gli conviene esserlo. Il mondo, all’improvviso, gli pare assurdo e grottesco, quindi sceglie il teatro, la finzione anziché la vita, sceglie di essere attore, costringendo quelli “normali” a recitare con lui, e per lui.
La tragedia è solo accennata, vi si allude con un finale sorprendente, ironico, assurdo.