Teatro pieno e lunghe liste d’attesa anche per gli ultimi giorni di replica di Ragazzi di vita di Pasolini diretto da Massimo Popolizio (fino al 7 gennaio) al Teatro Argentina di Roma che per il secondo anno di seguito pare superare il record di 15.000 spettatori, solo nella Capitale, ottenuto nella scorsa stagione dopo il debutto dell’ottobre del 2016.
Sempre più entusiasta il pubblico di ogni età per uno spettacolo pluripremiato, UBU 2017 e Maschere del Teatro per la migliore regia, una produzione del Teatro di Roma su drammaturgia di Emanuele Trevi che porta in scena alcuni dei racconti di Ragazzi di vita, primo folgorante romanzo del poeta corsaro per restituire alla perfezione un mondo e una periferia che non esistono più.
Lo spettacolo corale vive di quello che Popolizio aveva definito come “furore collettivo che fa da collante allo svolgersi della storia” restituendo la vitalità, tutta la freschezza e l’esuberanza spaccona di un mondo dissolto, tragico e leggero, sbruffone e cinico al tempo stesso.
Fin da subito si respira l’afa accecante della Roma estiva e dei quartieri di periferia, dal Tiburtino al Mandrione, evocati da un Narratore esterno e onnisciente, ma a tratti partecipe, un Lino Guanciale in ottima forma, ora sospeso nel nulla, ora mediatore dei racconti: attimo dopo attimo dalle sue parole prendono forma le vite di ragazzi di una Roma che non esiste più fra le urla delle donne, bravate, furti e furberie, e tutta la scaltrezza dei protagonisti.
Riccetto, Agnolo, Begalone, Alvaro, Caciotta o Amerigo sono solo alcuni dei diciotto personaggi in scena, giovani attori, che danno vita a ragazzi dai nomi evocativi affastellati in un grande affresco corale e antropologico fra senso del comico e senso del tragico: si va dalla prima gita in barca del Riccetto, alla commovente morte di Genesio, dai furti, alle bravate, dai furti al sesso fino allo scontro fra i cani.
La “sfida incosciente” di Popolizio di portare in scena Ragazzi di vita è stata vincente: il regista è riuscito nella felicissima commistione fra i numerosi personaggi e la terza persona, ma senza emulare il riconoscibilissimo modello ronconiano: spavalderia e tenerezza si alternano continuamente in un turbinio di emozioni e di racconti raccontati in modo vivissimo fra gestualità molto marcata e il parlato romanesco in tutta la loro vitalità irrefrenabile, quasi anarchica, ma sempre poetica, divertente e struggente.
“Questa drammaturgia non ha una base psicologica, bensì realistica” ricorda Popolizio che sfrutta tutto il romanesco pasoliniano di gusto espressionista e non neorealistico che deriva da Belli e che rappresenta il punto di partenza dello spettacolo diventando la “lingua dei ragazzi di vita” verace e musicale. E poi c’è la musica di Claudio Villa commovente e straziante, ri-cantata dal vivo e colonna diegetica dello spettacolo. Uno straordinario e vitalissimo affresco in bilico fra poesia e crudo realismo per continuare ad amare Pasolini anche distanza di 40 anni dalla sua tragica scomparsa.