Presentato da Nuovo Teatro in coproduzione con Fondazione Teatro della Toscana
Di Edoardo Erba uno studio su La locandiera di C. Goldoni
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INTERPRETI e PERSONAGGI
Laura Morante – Mira
Giulia Andò – Orte
Bruno Armando – Albi
Eugenia Costantini – Deja
Vincenzo Ferrera – Brizio
Danilo Nigrelli – Riva
Roberto Salemi – Poli
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Regia Roberto Andò
Scene e luci Gianni Carluccio
Costumi Alessandro Lai
Suono Hubert Westkemper
Assistente alla regia Luca Bargagna
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“Locandiera B&B” , già quel B&B ci aveva messo in allarme ma non eravamo preparati alla scenografia apparsa all’apertura del sipario, bella nella sua maestosa essenzialità ma sorprendente.
Due ambienti separati da una mezza parete: cucina e sala da pranzo, quinte e porte ad indicare una grande casa, una villa antica di cui si vedrà il piano superiore nel secondo atto.
Penombra e chiaroscuri in un gioco di luci appropriato ma lontano dalla luminosità che ci si aspetterebbe da una scena goldoniana. Non che si debba sempre festeggiare il carnevale ma la Commedia dell’Arte punta su frizzi, lazzi, salti e riverenze.
Non è questo il caso. Una tavola imbandita, risate, anche sguaiate, battute forzate, toni acuti, conversazione futile e sfuggente ma su tutto predomina il nervosismo, il disagio che la protagonista ben evidenzia con movenze a scatti e uno stringer le mani compulsivo.
Una cornice enorme con fondale bronzato riflettente rimanda la parte posteriore deforme, allungata ed allargata, opacizzandola come una fenditura psicologica nelle proiezioni magmatiche dei personaggi. L’ombra, che copre ed ingigantisce le persone e gli oggetti confondendo i contorni ed esasperando le forme, riempie la scena di attesa e di incertezza.
È tutto un po’ così: il “detto” è nettamente inferiore al “non detto”, che si lascia intuire. Ciò che appare è lontano un miglio da ciò che è. Ma cos’è e soprattutto cosa vuol essere questo spettacolo? Non è definito, non è chiaro il risultato mentre l’intento potrebbe anche esserlo.
Il sipario si apre con Laura Morante in cucina, ma appare evidente che non è la cameriera: dalla cucina alla sala il tragitto è lungo e tortuoso, perché non sceglie di passare in avanti sulla scena, dove si potrebbero contare non più di cinque passi, ma predilige il corridoio interno fra porte vere e presunte, forse a prendere tempo e fiato prima di presentarsi agli sconosciuti che si trovano in casa sua. Serve la cena ed ogni portata diventa pretesto per correre in cucina e sfuggire alle domande insistenti, quando la conversazione langue.
“Non so tener banco” dice, eppure ci riesce a meraviglia perfettamente sintonizzata con la linea registica. Padrona della scena si muove deliziosamente impacciata, maliziosamente ingenua; anche nella caduta mantiene una grazia seduttiva e il vestito che abilmente si scopre aggiunge un po’ di piccante.
Lo spettacolo La locandiera B&B ha forse tratto in inganno gli incauti spettatori?
Nulla rimane del copione originale, non è una rivisitazione ma uno spettacolo completamente diverso, quindi perché quel titolo?
Siamo ben lontani dall’ambientazione classica goldoniana, anche il nome Mirandolina si riduce nel diminutivo Mira, così il cameriere Fabrizio diventa il contabile Brizio e il cavaliere nel testo di Edoardo Erba è lo sconosciuto che arriva a chiedere una camera.
“Non siamo aperti” risponde Mira e qui si apre lo spiraglio di una possibile spiegazione alla trama e alla storia.
Non c’è apertura, lo studio è in una fase acerba, ancora indeciso verso quale genere puntare. Loschi individui e affari poco chiari, brillanti comprati e rivenduti, droga, alcool e sesso a pagamento. Si nomina uno zio (si pensa ad un protettore che tutto fa tranne proteggere) sempre in attesa del marito che non arriva e del contabile che poi arriverà.
Edoardo Erba ha presentato un testo che intreccia i suoi contorni con il giallo della campagna inglese, l’humor nero e, solo molto alla lontana, il rosa. Colori che rimandano al teatro dell’assurdo, al mistero, al poliziesco, colori che brillano per la loro assenza in scena.
Indovinati i costumi nella loro opacità evidentemente voluta per stemperarsi nella dimensione sospesa di una ambientazione senza luogo e senza tempo.
Laura Morante ben calata nel personaggio, che le sembra cucito addosso, è abile nel sedurre, quasi a sua insaputa. Grigia e scialba all’inizio, si rivela sagace e convincente nel ruolo della svampita moglie accondiscendente che, come la classica acqua cheta si trasforma in un’impetuosa e dirompente cascata, in una vedova nera, abile calcolatrice nel finale che a ben vedere non è neanche tanto sorprendente.
Laura Morante, ben conosciuta dal pubblico per i suoi ruoli sul grande schermo , ha esordito a teatro con Carmelo Bene cosi racconta in una intervista:
“Io sono sempre in apprensione, quando devo lavorare in scena, col pubblico davanti. Però il teatro senza rete m’è sempre enormemente servito. Con Carmelo feci il Riccardo III e, solo a Parigi, il “Sade”. Poi ho fatto enorme esperienza con Donato Sannini, Victor Cavallo, Daniele Costantini e Carlo Monni, e anche con Vittorio Franceschi, con Benno Besson, con Mario Monicelli, e col TNP in Francia. Ma non ho mai voluto fare tournée, per problemi di sonno, e per i figli. Ora ho superato questi freni. E qui mi calo molto volentieri in un carattere toscano, essendo io toscana. C’è di più: Andò ha avuto l’idea di dare inflessioni toscane alle mie battute, e questo mi mette molto a mio agio”.
La regia di Roberto Andò calibrata e precisa muove i personaggi come in un sequenza cinematografica.
Sicuramente interessante, non ha però convinto del tutto il pubblico che ha comunque gratificato la compagnia con gli applausi dovuti.