“I temi universali della famiglia, dell’arte, dell’amore, dell’ambizione e del fallimento, inseriti in una proprietà ereditata dai protagonisti della vicenda di Zio Vanja, sono il centro della messa in scena. Cosa resta delle nostre ambizioni con il passare della vita? E se fossimo in Italia oggi, anziché nella Russia di fine 800? La nostra analisi del capolavoro cechoviano parte da queste due domande, che aprono squarci di riflessioni profondissime, attraverso quello sguardo insieme compassionevole, cinico e ironico proprio di Anton Cechov finalizzato a mettere in scena «gli uomini per quello che sono, non per come dovrebbero essere»”. (Vinicio Marchioni)
Uno dei drammi più significativi della produzione teatrale di Anton Čechov. Uno splendido adattamento di Letizia Russo, che avvicina questo testo, già di per sé universale, alla sensibilità contemporanea, col fine di sensibilizzare su un tema sociale e ancora scottante come la tragedia del terremoto in Italia. Un attore ispirato e già conosciuto, Vinicio Marchioni, proveniente dalla nota serie televisiva “romanzo criminale”. Una produzione Khora.teatro, Fondazione Teatro della Toscana. Un’alchimia di talenti e intuizioni per rivivificare un testo già intriso di domande e suggestioni mai inattuali. Un palcoscenico quello del Teatro Era di Pontedera, punto di riferimento del teatro Toscano e non solo, capace di offrire come sempre qualità, innovazione e rispetto per la tradizione.
“Io sono innamorato di Anton Čechov. Leggendolo ho capito che parlava a me, anzi che parlava di me: di un 45enne di questo Paese.” (Vinicio Marchioni)
Tutti i personaggi di questo dramma sono irretiti in un grigiore di monotonia, in una mancanza di senso omnicomprensiva, in un vivere connotato dall’assenza di fiducia in sé stessi e negli altri, nell’arrendevolezza propria di chi è perduto di fronte alle difficoltà o anche nella ribellione grottesca e sconclusionata di chi non può riemergere dai propri abissi, da un cinismo insuperabile che appiattisce qualsiasi sogno e capacità di essere protagonisti con slancio dei propri accadimenti. Specchiarsi in questo vetro deformante soffiato dalla penna e dal genio creativo di Anton Čechov vuole dire fare i conti con la realtà straniante, alienante e perciò inaccettabile di una delusione che supera l’orizzonte individuale e si staglia attorno a tutto e tutti, a livello esteriore e interiore. Le emozioni e le azioni di queste marionette, legate ai fili della noia e del caso, descrivono gli effetti tragicomici di una tragedia dell’insoddisfazione, di vite segnate da occasioni mancate, rimorsi che ingabbiano, rassegnazioni che accompagnano giorno dopo giorno verso una morte sempre più presente e liberante. Miseria umana che non riesce a emanciparsi dalla propria condizione, non provandoci neanche, se non attraverso vuote aspirazioni e gesti inconsulti d’ira. Un’atmosfera immobile e apatica contagia via via non solo i personaggi, ma anche il mondo che li circonda. Tutto sembra inesorabilmente portato alla disfatta, all’oblio.
“Quelli che vivranno dopo di noi, fra due o trecento anni, e ai quali stiamo preparando la strada, ci saranno grati? Si ricorderanno di noi con una buona parola?” (Anton Čechov)
Ivan Petrovic Voiniskij, zio Vanja, già dal titolo di questo riadattamento diventa uno zio Vanja. Il suo ruolo è catapultato nella società di oggi, la sua infelicità ci riguarda da vicino, l’inconcludenza della sua vita ci sprona a uno scuotimento, lo struggimento dei suoi rimpianti ci induce a fare i conti con tante domande e perplessità, l’ambiente umbratile di un teatro in decadenza, contornato da personaggi tristi e insulsi, ci descrive forse una realtà ostica da accettare ma molto più prossima di quanto si pensi. Anche il professor Serebrjakov, da tutti creduto per tanto tempo un genio per poi rivelarsi nella sua inguaribile mediocrità, fatta di bieco opportunismo e compromessi, rappresenta come le illusioni possano nascondere e privare della realtà, come si possa essere relegati fuori da qualsiasi reazione liberatoria, rimanendo succubi della cristallizzazione dettata dalle circostanze. In questo senso anche l’amore privo di qualsiasi concretezza e speranza progettuale di Sonja, la nipote di zio Vanja, verso il medico Astorov, idealista contraddittorio, è uno dei sintomi della decadenza di questa borghesia e dei suoi sentimenti lividi e rimossi, di una società terremotata nelle sue fondamenta più sottili. Così vale per Elena, la seconda e giovane moglie del Professore, da tutti desiderata ma forse da nessuno amata veramente. Così è per tutti gli altri soggetti sulla scena, le sfaccettature di ogni personaggio evocano un malessere non solo individuale, perché è un dramma delle relazioni incompiute, delle meschinità che si insinuano a corrodere le volontà dei gruppi, delle famiglie, delle società. Paradossalmente il messaggio di questo dramma senza speranza è proprio quello di ritrovare la speranza, questo affresco di volontà corrotte e infelici ci richiama la necessità proprio di recuperare la volontà di essere felici, di uscire dalle costrizioni che ci privano dell’entusiasmo e ci abbuiano in un orizzonte senza prospettive per reinventarsi una vita diversa. Dietro le macerie c’è sempre un pesco che può fiorire. Il teatro può essere il luogo dove si rimettono in moto le forze e le risorse di una possibile e auspicabile ricostruzione, non solo esteriore, principalmente morale.
“La speranza è che l’uomo possa diventare migliore una volta che qualcuno gli avrà mostrato come è realmente”. (Anton Čechov)
Di Anton Čechov Adattamento Letizia Russo E con Vinicio Marchioni, Francesco Montanari sostituito da Filippo Lai, Lorenzo Gioielli, Milena Mancini, Nina Torresi, Alessandra Costanzo, Andrea Caimmi, Nina Raja Scene Marta Crisolini Malatesta Costumi Milena Mancini e Concetta Iannelli Musiche Pino Marino Luci Marco Palmieri Regia Vinicio Marchioni Produzione Khora.teatro In coproduzione con Fondazione Teatro della Toscana Prodotto da Alessandro Preziosi, Tommaso Mattei, Aldo Allegrini Foto di scena Valeria Mottaran