Teatro alle Tese – ore 20 – 22 Giugno 2018
BUILT TO LAST
Meg Stuart |coreografia
Damaged Goods
Consegna del Leone d’oro alla carriera
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L’estate è il periodo del leone d’oro veneziano.
Da fine maggio a inizio ottobre (come è noto l’estate veneziana dura di più rispetto al resto del mondo) chi cerca contemporaneo, architettura, danza, teatro, cinema e musica, guarda a Est e in particolare alla Serenissima.
Se Giugno è entrato in punta di piedi quest’anno è anche perché aspettava l’inaugurazione della Biennale Danza che ha visto la consegna del Leone d’oro alla carriera, alla coreografa americana Meg Stuart per lo sviluppo di “… un nuovo linguaggio e un nuovo metodo a ogni creazione, collaborando con artisti appartenenti a differenti discipline e muovendosi tra danza e teatro. Attraverso l’improvvisazione (aspetto fondamentale della sua pratica), Stuart ha saputo esplorare gli stati fisici ed emotivi e la memoria degli stessi cercando sempre nuovi contenti e nuovi territori in cui muoversi, il suo lavoro si ridefinisce costantemente.”
La direttrice Marie Chouinard, cui è spettato l’onore della consegna, nel discorso inaugurale ha messo l’accento sull’assoluta freschezza di questa rassegna dall’ermetico titolo “Respirare, Strategia e Sovversione”, a simboleggiare l’ampio spettro in cui si declina la coreografia oggi. Con un numero elevato di prime italiane ed assolute, di maggiore respiro europeo/mondiale che nazionale, ci si può aspettare fin da adesso un’edizione di valore che ha l’arduo compito di portare la danza contemporanea anche a chi generalmente non la segue.
Sin dal primo spettacolo, quello della serata inaugurale e quindi strettamente legato al leone d’oro e alle sue motivazioni, si è visto qualcosa di ciò che ci potremmo aspettare in questi giorni.
Meg Stuart e la sua compagnia Damaged Goods costruiscono lo spettacolo Built to Last, ovvero Costruito per durare nell’arco di 120 minuti, intensi, coinvolgenti e travolgenti.
Spaziando in più di 800 anni di storia (da Perotinus fino a Meredith Monk) vediamo un viaggio temporale anarchico fra musica e danza, in cui i cinque performer si confrontano con la monumentalità di questi brani (uno per tutti la terza sinfonia “Eroica” di Beethoven).
Lavorando su brani musicali preesistenti, provenienti da varie tradizioni di musica classica e moderna Alain Franco crea una macchina del tempo, che ci fa reagire a livello emotivo, ci forza ad adattarci a nuove forme. Struttura una drammaturgia musicale chiastica in cui le contrapposizioni sono simmetriche nell’arco dell’intero spettacolo. Ad ogni momento di apparente calma segue un momento di frenesia in cui ogni animo umano, da quello comportamentale alla semplice moda dei telefonini declinata nei selfie e nei movimenti tipici di chi usa Tinder, viene esposto e messo a nudo.
Reinvenzione, spinta di ricerca progettuale, di ‘andare avanti’ ma anche fede nell’eroismo e nell’ universalità, valori eterni. Non a caso ricordiamo l’espressione “costruito per durare”.
Gli attori/danzatori in scena, lontani dall’ideale del danzatore classico per età, genere, forma fisica, accompagnando la musica, ci raccontano una storia, frenetica, strana, a tratti anarchica, ma in cui la sensazione di compiutezza è sempre presente.
Questo perché l’esplorazione che la coreografa fa degli stati umani (tutto di commento alla musica, a volte in sottofondo, in altre decisamente ‘ruba scena’) ha sicuramente una buona componente improvvisativa ma ha delle basi drammaturgiche particolari.
Sempre vigile l’attenzione nel cogliere ogni singolo riferimento di cui è costellato l’intero cammino della performance. Non ultimo la sensazione dell’avvicinarsi della fine. Come ricorda Meg Stuart: ”Ognuno si prepara a questo. È triste ma è così”
Il momento più intenso probabilmente quello centrale, in cui la struttura eliocentrica con pianeti che sovrastava il palco, ha preso vita. E con essa una delle performer che sul tetto di una struttura scenografica danzava zigzagando fra i pianeti moventi. Una danza non umana, ma celeste, armonica, iperuranica.
Lunghi applausi, scaturiti a cascata, come le palline nascoste nel sole della struttura, apertosi nel momento catartico finale.