Lo scorso weekend il capoluogo emiliano è stato teatro di due diversi adattamenti di due capisaldi dell’opera lirica di tutti i tempi. Da un lato il Don Giovanni di Mozart secondo l’Orchestra di Piazza Vittorio in scena all’Arena del Sole, dall’altro il rifacimento de Il Barbiere di Siviglia rossiniano dell’Orchestra Senzaspine al Teatro Duse.
Ho deciso di unire in un unico pensiero i due spettacoli per attinenze di genere ma soprattutto per simili realizzazioni. Innanzitutto ciò che si riscontra a primo acchito è la necessità di collocare dei pilastri della musica colta che appartengono all’incirca allo stesso periodo storico (il Don Giovanni è del 1787 mentre Il Barbiere di Siviglia del 1813) in epoca moderna, cercando di attualizzare non solo le tematiche portanti delle opere ma “rischiando” degli adattamenti scenografici e contestuali fuori spazio/tempo ma che nel complesso raggiungono lo scopo. Se l’obiettivo è avvicinare una fetta di pubblico solitamente non avvezzo a frequentare il teatro d’opera snellendo il corpus drammaturgico e musicale degli originali, i risultati sono ottimi. Le due riattualizzazioni hanno questa importante e imprescindibile caratteristica in comune, con le dovute differenze nel “modus realizzandi” e nelle soluzioni registiche.
L’Orchestra di Piazza Vittorio, nata nel 2002 a Roma dalla volontà di Mario Tronco e Agostino Ferrente di costruire una realtà musicale composta da artisti di etnie diverse accomunati dal linguaggio della musica, affronta il capolavoro mozartiano come fosse un concerto. In scena solo la band e un grande schermo ad oblò sul quale viene riprodotta la “presenza” del Commendatore. Nessun altro elemento scenico contraddistingue lo spettacolo: sono gli stessi cantanti a connotare, almeno temporalmente, la vicenda. Un vago sapore retrò nei costumi e nelle pettinature dei personaggi ci riporta agli anni ’20, ma la vera “rivoluzione” sta nel fatto che ad interpretare il protagonista marpione sia una donna, Petra Magoni: voce femminile, connotati scenici maschili. Musicalmente questo Don Giovanni risente delle diverse influenze e ricerche sonore condotte solitamente dall’Orchestra e il risultato è un melting pot non solo etnico, per le diverse lingue in cui cantano gli attori, ma anche musicale: atmosfere reggae, rock e blues attraversano la vicenda fino al culmine del finale in cui è il coro stesso a “condannare” vocalmente il truffaldino Don Giovanni. Il cast risulta coeso e incalzante anche dal punto di vista attoriale, ma un plauso speciale va alla sopracitata Petra Magoni, degna interprete donna/uomo e mai macchietta di uno dei più famosi personaggi teatrali di ogni tempo.
La bolognese Orchestra Senzaspine invece arriva al confronto con l’opera rossiniana dopo il rifacimento de L’elisir d’amore di Donizetti, andato in scena l’anno scorso. Un cast d’eccezione per quest’opera, composto per lo più da giovani e giovanissimi pieni di talento che ben reggono ruoli non certo di facile interpretazione. La regia di Giovanni Dispenza attinge dal mondo del cinema e da quello del fumetto, a partire dai titoli di testa proiettati durante il famosissimo ouverture, continuando durante i quadri scenici alternando pop up dei personaggi per finire con il tableaux vivant dell’ultima scena del primo atto. Un adattamento fresco, divertente, scorrevole, ricco di inserti comici che, probabilmente mirati a “fare l’occhiolino” allo spettatore, comunque risultano inseriti perfettamente nel ritmo drammaturgico e musicale dello spettacolo. La ridente Siviglia rossiniana nell’adattamento della Senzaspine è ricollocata in una moderna metropoli connotata soprattutto dalla presenza di giovani hipsters alla ricerca di fortuna lavorativa e ingenti ritorni economici. Interessante la scelta di far di Figaro il titolare di uno dei contemporanei “barber shop” tanto di moda oggi, con tanto di aiutanti barbuti. Il punto di forza di questo spettacolo, oltre che un cast affiatato e azzeccato nelle interpretazioni, è sicuramente l’orchestra, fedele all’originale e vibrante degli straordinari ritmi rossiniani.
Volendo tirare le somme in un unico pensiero, credo che i due spettacoli abbiano registrato un ottimo successo di pubblico proprio perché capaci di andare oltre i preconcetti sull’opera lirica in generale e sui suoi schemi di realizzazione preimpostati in particolare, rompendo gli schemi e per questo facendosi carico di una notevole responsabilità nel rischio forse di “snaturare” l’originale, rischio secondo il mio parere arginato a dovere. Probabilmente non la penserebbero così i più assennati conservatori o cultori della materia, ma personalmente credo che l’opera lirica oggi abbia bisogno di “coraggiosi” adattamenti come questi per entrare a pieno titolo nel mondo teatrale contemporaneo.