Ivan racconta una storia che gli è successa quando aveva quattro anni. Ma la racconta come se fosse ora. Come se fosse una fiaba dei fratelli Grimm. Invece è una storia vera, accaduta a un bambino nella Russia degli anni Novanta, la Russia poverissima di Boris Eltsin. La gente era così povera, racconta Ivan, che i papà e le mamme cominciarono a sbarazzarsi di quello che nelle case mangiava, beveva e aveva bisogno di cure. I primi a essere abbandonati furono i cani. La madre di Ivan ha un uomo che ama e che la picchia quando si riempie di vodka fino agli occhi perché non c’è lavoro e gli uomini si sentono inutili. Ivan è un incomodo, quest’uomo lo tratta male, vorrebbe che se ne andasse. E un giorno Ivan lo fa. Indossa il suo cappotto più pesante, i guanti di lana, si mette in tasca due pacchetti di patatine ed esce per le strade di Mosca. Trovare un posto in cui dormire è difficile. Fa freddo, ovunque c’è puzza. La gente che gira sembra ti voglia sbranare. Ivan dorme su un cartone, imitando altri, ma scopre che anche per dormire per terra devi pagare, il territorio è qualcosa che si conquista o si paga. Ivan vede un fuoco. Intorno, un gruppo di bombzi, barboni ubriaconi che non hanno nessuno al mondo. Stanno arrostendo delle patate. Si accorgono che uno di loro è morto di freddo e rimangono un po’ lì a piangerlo. Uno di loro, forse sull’onda della commozione, regala a Ivan una patata. Gli altri lo insultano e cercano di riprendersela, ma Ivan scappa. Un cane bianco ha assistito alla scena e lo segue. Ivan divide la patata con lui e da quel momento diventano inseparabili. Ivan preferisce la compagnia dei cani. Impara ad abbaiare, a ringhiare, a ululare, e il cane bianco – che è una femmina, ma è il leader della muta – comincia a fidarsi di lui ogni giorno di più. Fino ad accettare il cibo dalla sua mano. Ma di dormire nella tana con loro non se ne parla, il cane bianco – che Ivan ha battezzato Belka – non glielo permette. Un giorno, un poliziotto cerca di acciuffarlo mentre sta aspettando il cibo fuori dal ristorante. I cani accorrono e lo salvano, ma qualche giorno dopo il poliziotto lo aspetta con i suoi uomini e gli tende un agguato. Riescono a caricarlo sul furgone, ma Belka riesce a salire ed è come un’ossessa, ringhia e abbaia, sembra impazzita, e Ivan riesce a liberarsi. Dopo quell’episodio, Belka lascia entrare Ivan nella tana. Dormire con gli altri, contro le loro pellicce calde e soffici, è il massimo della felicità. Ma le cose vanno sempre peggio. I poliziotti hanno neutralizzato i cani, prima di cercare di prendere Ivan. Di lì, la sua è una storia triste. C’è l’orfanotrofio. E poi c’è una donna gentile, che va a trovarlo e cerca di tenere lontani i giornalisti che vogliono sapere tutto del ragazzino che viveva con i cani. Alla fine, Ivan va a casa con lei. La donna ha un cane, ma è un cane stupido, niente a che vedere con Belka e gli altri. Ma quando un intruso entra in casa e il cane lo attacca, Ivan vede nei suoi occhi una scintilla di Belka e gli altri. E lo lascia dormire sul suo letto. E sogna di essere di nuovo la sua famiglia di cani e di correre con loro come il vento, a perdifiato nella foresta.
Monica Capuani
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Teatro Belli
Piazza Sant’Apollonia 11/a – 06 5894875
spettacoli ore 21,00 – ingresso posto unico € 10
dal 29 ottobre al 1 novembre
IVAN & THE DOGS
di Hattie Naylor
traduzione Monica Capuani
con Lorenzo Lavia
costumi Andrea Viotti
scene Gianluca Amodio
regista assistente Marco Mingolla
assistente alla regia Rosaria Sfragara
luci Francesco Traverso
voci fuori campo Pavel Zelinskiy, Anastasia Doaga
foto Azzurra Primavera
grafica Kreattivamente
regia Massimiliano Farau
produzione La Compagnia dei Masnadieri
uno spettacolo a cura di Garage Zeami